a cura di Marcella Vulcano
Napoli è stata la sede del 1° Congresso nazionale di AreaDG, la nuova componente democratica della magistratura che parte dall’esperienza e dal patrimonio storico e ideale di Magistratura Democratica e del Movimento per la Giustizia, ma che costituisce un’aggregazione più ampia, aperta alla collaborazione di tutti coloro che si riconoscono in valori comuni.
La Giustizia come Bene Comune, il titolo dell’incontro che si è svolto il 26 e il 27 maggio scorsi, nella suggestiva cornice del Castel dell’Ovo. Una due giorni in cui sono intervenuti esperti di ogni settore, dalla Giustizia alla politica, dal mondo accademico a quello associazionistico, tra cui: il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando; il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris; il Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Giovanni Legnini; i consiglieri togati napoletani Antonello Ardituro e Lucio Aschettino ed altri togati di Area; il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Eugenio Albamonte.
Il segretario nazionale, Cristina Ornano, ha sottolineato come, nella visione di Area, “obiettivo primario dei magistrati debba essere quello di lavorare per i cittadini, di intendere quindi la giustizia come un servizio alla comunità, la quale, a sua volta deve guardare alla giustizia come ad un bene comune, ad una cosa propria, da costruire, a cui contribuire e da difendere”.
Molto efficace l’intervento del Ministro Orlando e particolarmente apprezzato quello del sindaco di Napoli ed ex magistrato Luigi De Magistris, il quale, partendo dalla premessa della autonomia ed indipendenza quali valori fondanti della magistratura, ha evidenziato la necessità di una interpretazione ed applicazione del diritto costituzionalmente orientato, affinché la Costituzione venga non soltanto tutelata ma, soprattutto, applicata.
In questo quadro, ben si è collocata la Tavola Rotonda intitolata Gestione dei beni confiscati: un modello da rinnovare? che ha avuto come moderatore d’eccezione Francesco Menditto, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tivoli.
Sono intervenuti Davide Pati, membro dell’ufficio di Presidenza di Libera, responsabile nazionale del settore beni confiscati; Giada Li Calzi, Direttore Fondazione Progetto Legalità Onlus e Domenico Lucano, sindaco di Riace.
Davide Pati ha evidenziato l’importanza del riutilizzo sociale dei beni confiscati. I beni mobili, immobili e le aziende sottratti alle mafie costituiscono risorse da valorizzare negli strumenti di programmazione e di attuazione delle politiche di welfare e di inclusione sociale, di promozione cooperativa e di imprenditorialità giovanile, di tutela del lavoro e di sviluppo turistico, agroalimentare, artigianale, commerciale e industriale. Per questo motivo gli interventi pubblici comunitari, nazionali e regionali di sostegno devono essere orientati al rafforzamento delle buone pratiche di riutilizzo dei beni confiscati che sono state realizzate grazie alla legge Rognoni-La Torre e all’applicazione della legge n.109/96, promossa dall’associazione Libera e fortemente voluta da più di un milione di cittadini.
Il riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie è anche un modo attraverso il quale far conoscere il lavoro della magistratura, affinché il dato giudiziario si traduca in un dato culturale, educativo, etico. Ed è per questo motivo, per la funzione strategica della magistratura e di tutti i soggetti della filiera a vario titolo coinvolti, dalle indagini patrimoniali alla confisca, che si auspica un’accelerazione della riforma al codice antimafia – attualmente in esame al Senato – che prevede i giusti correttivi che consentiranno di superare molte delle attuali criticità. Vi è infatti il rischio di un arretramento del lavoro svolto dal parlamento, dalla commissione parlamentare antimafia, da tutti i soggetti che sono stati coinvolti e che hanno contribuito a tale importante modifica e ai successivi emendamenti.
Molto apprezzato l’intervento di Giada Li Calzi, volto ad evidenziare gli ostacoli che impediscono di cogliere le importanti opportunità a livello europeo in tema di riutilizzo dei beni confiscati.
L’Italia si sta dotando di un Piano d’Azione e Coesione per orientare strategicamente le risorse. Ad oggi, però, per esempio, non esiste un sistema che metta in connessione tra loro le risorse distribuite tra gli enti locali a livello nazionale. Esistono sì delle mappature dei beni confiscati, ma forniscono una fotografia statica. Ciò che servirebbe, al contrario, è una visione dinamica perché il tessuto urbanistico cambia, si evolve.
Anche il sistema di controllo sociale di Open Coesione, portale sull’attuazione dei progetti finanziati dalle politiche di coesione in Italia, fornisce i dati sulla spesa di un determinato progetto, ma non monitora ancora gli scopi rispetto ai bisogni del territorio su cui ha ricaduta.
Esistono esempi virtuosi in tal senso, come la regione Lombardia o il comune di Bologna, ma un quadro completo, a livello nazionale consentirebbe ai Comuni di pianificare iniziative di rete. Per tale motivo la Fondazione Progetto Legalità Onlus propone il passaggio da una mappatura ad una piattaforma che consenta a tutti i soggetti coinvolti sin dalla fase del sequestro e, quindi, anche al giudice delegato ed all’amministratore giudiziario, di individuare la possibile e più appropriata destinazione del singolo bene confiscato in base alla domanda del territorio su cui insiste il bene, affinché si realizzi il pieno ed effettivo utilizzo sociale dei beni confiscati.
Molto accorato l’intervento del sindaco di Riace, Domenico Lucano, uomo in prima linea, sindaco da tre mandati, che ha fornito una valida testimonianza sull’importanza della politica del turismo dell’accoglienza adottata della sua amministrazione. Tutto è iniziato nel 1998 con lo sbarco di duecento profughi dal Kurdistan a Riace Marina che ha avuto un significato profondo per il paese calabrese che fino a quel momento aveva conosciuto soltanto i flussi migratori in uscita, con i paesani che abbandonavano il loro ruolo di braccianti per andare a lavorare nelle industrie del nord. Le case erano vuote e l’economia locale era paralizzata. Con l’arrivo dei migranti, il sindaco, insieme ad un gruppo di amici, compagni di molte attività politiche e sociali, ha fondato l’associazione Città Futura (dedicata al parroco siciliano Don Giuseppe Puglisi, vittima di mafia) che ha messo a disposizione dei migranti appena sbarcati le vecchie case abbandonate dai proprietari, ormai lontani dal paese. Da allora, grazie alle politiche di accoglienza del sindaco Domenico Lucano, il paese e in particolare il centro storico ormai spopolato hanno concesso ospitalità a oltre seimila richiedenti asilo provenienti da venti diverse nazioni, integrandoli nel tessuto culturale cittadino e inserendoli nel mondo del lavoro del piccolo borgo, ridando di fatto alla città di Riace una nuova vita.
Il primo cittadino di Riace è riuscito a dare ospitalità non solo ai rifugiati (ora 600 in tutto il paese), ma anche a tutti gli immigrati irregolari con diritto d’asilo, mantenendo in vita servizi di primaria importanza come la scuola, creando una scuola interculturale e finanziando il piccolo comune con micro attività imprenditoriali legate all’artigianato. Per sopperire al ritardo dei contributi comunitari, in paese gira una moneta speciale nei tagli da dieci, venti e cinquanta euro, che gli immigrati possono usare per le spese giornaliere aspettando che arrivino i fondi europei. L’integrazione dei migranti è assicurata da circa ottanta mediatori culturali assunti dal comune che promuovono il processo di integrazione sociale ed economica di cui Riace si fa promotrice. Nell’asilo lavorano altre 14 persone. In questo modo, Domenico Lucano ha realizzato il sogno di trasformare Riace nella città dell’accoglienza, basata sui valori della cultura locale, incontaminata dal capitalismo e dal consumismo. Una cultura dell’ospitalità, che trova sempre il modo e lo spazio per accogliere dei forestieri.