a cura di Marcella Vulcano
È un venerdì di maggio, sembra già estate. Il sole riscalda la città, il tufo lo cattura, lo assorbe e lo restituisce sotto forma di calore umano. Incontriamo Ciro Corona, fondatore e presidente di Resistenza Anticamorra, cooperativa che dal 2012 gestisce il Fondo Rustico Amato Lamberti di Chiaiano, primo bene agricolo partenopeo confiscato alla camorra. Si tratta di 14 ettari confiscati al clan Simeoli in via Tirone, non lontano dal centro cittadino. Parcheggiamo l’auto all’ingresso del fondo, ad accoglierci un vigneto che sembra volerci parlare, il pescheto che comincia a far presagire i fiori che verranno e poi segni riconoscibili di legalità, di comunità, di socialità, di “resistenza”, tutto intorno a noi. Si respira un’atmosfera di pace: le distese di verde, l’aria pulita, sembra di non essere in città. Gli animi sono distesi, rilassati, pronti all’ascolto, per capire, per imparare, per aiutare a costruire, per dare il proprio contributo.
All’ingresso, sulla baracca degli attrezzi, campeggia la scritta “Qui mafia e malapolitica hanno perso”. Ciro ci spiega il valore di queste parole, la storia del fondo, il lungo percorso di liberazione del bene che per 12 anni è stato illegittimamente occupato dai camorristi nonostante la confisca, nel totale silenzio della politica. Insieme alle forze dell’ordine e alla presidenza della municipalità, sono riusciti a liberarlo e a gestirlo, rendendolo produttivo. Oltre al pescheto e al ciliegeto c’era il vigneto che la cooperativa ha continuato a sviluppare riuscendo a produrre un vino bianco, una falanghina DOC dei Campi Flegrei, battezzata col nome Selva Lacandona, in onore della foresta messicana difesa dagli zapatisti dalla speculazione delle multinazionali. Poiché il fondo confiscato è una selva che negli anni ha resistito alle speculazioni edilizie, Resistenza ha pensato di fare quest’omaggio agli zapatisti. Nato dalla Festa popolare della Vendemmia, a suon di tamorre e castagnette, i volontari hanno raccolto l’uva falanghina che adolescenti, minori ed adulti dell’area penale hanno curato insieme a contadini locali e soci della cooperativa Resistenza.
Ciro è riuscito a fare un uso sociale dei terreni confiscati alle mafie per un’agricoltura sociale di qualità, commercializzando i prodotti del bene confiscato e impegnandosi nell’inserimento lavorativo dei detenuti. La Cooperativa Resistenza gestisce l’inserimento socio-lavorativo delle persone di cui si occupa attraverso percorsi individualizzati, costruiti insieme all’utente, maggiorenne o minorenne che sia, e insieme ai servizi sociali competenti, a seconda delle attitudini e delle passioni di ciascuno. Qualcuno sa imbiancare e imbianca, qualcuno è falegname e quindi fa il falegname, qualcuno è bravo nella muratura e quindi ristruttura l’edificio.
Ciro si occupa anche dei rapporti politici con la rete, di trovare punti di vendita in tutta Italia, di commercializzare i prodotti, in sintesi, di chiudere gli accordi commerciali. Ci racconta che nonostante il Sud abbia un gran numero di beni confiscati produttivi, storicamente questi prodotti sono commercializzati al Nord. Tuttavia, negli ultimi tempi si avverte un’inversione di tendenza: anche il Sud comincia a risollevarsi e a fare rete per un’economia sociale.
Il fondo è ormai un punto di riferimento per i giovani volontari che giungono da tutta Italia per condividere esperienze di legalità. Da diversi anni giungono scuole, anche da Bolzano, per aiutare a ripulire il fondo. Si tratta di una preziosa esperienza di impegno e di formazione sui terreni e beni confiscati alla camorra, segno di una volontà diffusa di essere “protagonisti” e di voler tradurre i valori in impegno, con azioni concrete, di responsabilità e di condivisione.
L’obiettivo principale dei campi sui beni confiscati è quello di diffondere una cultura fondata sulla legalità democratica e sulla giustizia sociale, che possa efficacemente contrapporsi alla cultura della violenza, del privilegio e del ricatto. Si conosce e si realizza con questa esperienza una realtà sociale ed economica fondata sulla pratica della cittadinanza attiva e della solidarietà. Nel campus i giovani sono impegnati in attività agricole o di risistemazione del bene, in incontri con il territorio per uno scambio interculturale.
Resistenza opera anche a Scampia, insieme ad altre 13 associazioni riunite sotto l’ombrello dell’Officina delle Culture Gelsomina Verde. Ci spostiamo lì, con Ciro e con Carlo Licenziato degli ‘O Rom, altra associazione che fa capo all’Officina. Passiamo davanti alle vele, i riflessi del sole le fanno apparire quasi un bel posto. È un viaggio intenso ed affascinante per conoscere Scampia da dentro, senza lasciarsi condizionare dai pregiudizi e dagli stereotipi della sua rappresentazione mediatica e commerciale. La sede dell’Officina è una scuola che per anni è rimasta abbandonata, ostaggio della camorra, luogo di ritrovo di criminali, di spaccio, di degrado. Si trova nel cuore del quartiere Scampia di Napoli, nel plesso di “palazzine popolari” conosciuto come “Case dei Puffi”. È un edificio scolastico posto su due piani di 2000 mq con annessi palestra, giardino anteriore e posteriore.
L’Officina delle Culture “Gelsomina Verde” ha l’obiettivo di dare alternative lavorative, culturali, formative e professionali ai minori a “rischio” e alle classi svantaggiate della periferia nord di Napoli attraverso laboratori, corsi professionali, attività produttive e formative. Dismesso nel 2005 è diventato prima un deposito di armi della camorra e successivamente un B&B della droga, vendevano all’interno eroina e facevano riposare i tossicodipendenti nelle varie aule. I primi 1700 mq sono stati bonificati, in tre anni, grazie all’aiuto di 1300 volontari. Oggi è ristrutturato ed è presidio di legalità e cultura. È un polo delle associazioni storiche di Scampia che non avendo una sede, da anni ne erano alla ricerca. L’Officina è un luogo dove il bello, sia estetico che di contenuto, ha cancellato il brutto, l’orrore, l’emarginazione.
Al piano terra su alcune pareti dominano la scena meravigliosi mosaici. Sono opera di Salvio Liccardo, lo scultore dei rifiuti riciclati e del suo gruppo artistico, i Nos Revolution, che da piccola realtà della città di Mugnano sono diventati protagonisti della biennale di arte contemporanea di Salerno. Unici nel trasformare i rifiuti in opere di grande spessore, la loro opera, oltre ad avere un grande valore artistico, ha due importanti meriti: è collettiva ed è creata da ciò che la società dei consumi scarta. La caratteristica principale dell’arte dei Nos Revolution è proprio quella di utilizzare principalmente materiali riciclati e scarti che vengono così riutilizzati. Le loro opere d’arte trasmettono l’amore e il rispetto per l’ambiente.
Ciro Corona ci ha fatto da Cicerone in una realtà splendida di riscatto sociale, dove sono impegnate varie associazioni culturali che operano con attività dal doposcuola al teatro, alla scuola di musica al ballo.
L’Officina del Riciclo Artistico – ORA – è l’espressione di un gruppo, che fa capo a Sergio Denza, che con strumenti e tecniche il più possibile ecologiche ha deciso di organizzare e far funzionare uno spazio dove insieme Essere. Con i valori della solidarietà, confronto, pari opportunità e reciproco aiuto, dove si possa usare il fare per migliorare il benessere del singolo e della collettività.
La cooperativa Iron Angels è il risultato di un percorso formativo diretto dal maestro Riccardo Dalisi con un gruppo di giovani del Rione Sanità di Napoli. Oggi è un laboratorio artistico che produce opere uniche, anche su commissione, utilizzando materiali poveri, come rame, ottone, ferro e alluminio.
L’associazione Maneemane Arti & Manufatti ha l’obiettivo di avvicinare in maniera innovativa e attiva i giovani alla cultura del Riciclo-Riuso-Riutilizzo dei materiali e ad una sana Ecosostenibilità dell’arte. Lo scopo è quello di incrementare la cosiddetta intelligenza delle mani” (R. Sennet, L’uomo artigiano, 2008), cioè la capacità di comprendere, percepire, interiorizzare e trasformare gli oggetti e lo spazio.
E poi ci sono gli ‘O Rom, un gruppo musicale che nasce dall’incontro di tre musicisti che hanno voluto sperimentare la fusione tra musiche tradizionali dell’Italia Meridionale, musiche balcaniche e di tradizione rom, un vero e proprio progetto di integrazione che prova ad attirare l’attenzione sul tema della discriminazione e dei pregiudizi nei confronti dei Rom attraverso la diffusione della loro cultura e tradizione musicale. Carmine D’Aniello, che è anche il Presidente dell’Officina e Carlo Licenziato, gestiscono qui una sala di registrazione ed una sala musica, fornite di pianoforte, chitarre e batteria per dare la possibilità ai ragazzi del quartiere di imparare a suonare uno strumento musicale.
L’associazione Le Ali del Sorriso gestisce una bellissima palestra che offre corsi di pilates e ballo alle mamme e ragazzi del quartiere.
Sempre al piano terra una attrezzatissima segheria dove i detenuti sono gradualmente reintegrati nel mondo del lavoro e nella società. “Ho sempre pensato che l’educatore debba essere un attuatore di risorse” – dice Ciro Corona – “in questi territori il problema più grande non è mai stata la camorra, ma la mancanza di scelta. La Cooperativa quindi ha questo vincolo morale e concreto di dare alternative lavorative ai ragazzi del quartiere e ai detenuti”.
Al piano superiore Ciro e Carlo ci fanno visitare una casa famiglia, che ospita una comunità per minori non accompagnati, che vengono affidati all’Officina al compimento della maggiore età per insegnargli ad essere autonomi, a gestirsi, ad imparare la lingua, ad integrarsi. Finalmente Ciro ha coronato il suo sogno: fare l’educatore. E gli riesce molto bene! I due ospiti, un ragazzo del Bangladesh ed uno del Mali, appena maggiorenni, con un passato di atrocità alle spalle, sono sereni qui. Ciro è premuroso, disponibile, ma al tempo stesso autorevole.
La casa famiglia è calda, accogliente, pulita, spaziosa, ricca di colore. Dotata di una grande mensa, con tavoli, sedie e dispense, di una cucina ben attrezzata, di quattro camere da letto, servizi igienici, un ampio salotto con divani e televisore. Negli spazi comuni un biliardino di calcio sembra chiamarci. Alcuni di noi si mettono a giocare con i due ragazzi migranti. Sono belli, bellissimi e, soprattutto dotati di una grande dignità.
Mosè sospende per qualche minuto il lavoro in segheria per prepararci il caffè. Non amo prendere il caffè durate il giorno, solo al mattino, macchiato, ma oggi, in questa “casa”, questo caffè si deve bere, perché ha un valore, perché sa di legalità, di impegno, di comunità, di solidarietà, di rivoluzione, di orgoglio, di riscatto. Ed è buono, è proprio buono!