a cura di Stefania Di Buccio
Giovedì 5 luglio 2018, presso la Sala Napoleonica di Palazzo Greppi a Milano, si è tenuto il Convegno intitolato “La nuova prevenzione antimafia: amministrazione e controllo giudiziario ex artt. 34 e 34 bis codice antimafia”, nell’alveo di una triade di iniziative di approfondimento (Milano, Napoli e Palermo) promosse nell’ottica di un’integrazione di competenze-esperienze in materia di amministrazione giudiziaria di beni ed aziende sequestrati e confiscati.
L’evento è stato organizzato da Advisora e dall’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con il Centro di Ricerca Coordinata “Misure di Prevenzione”, pregiandosi del patrocinio dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, dell’Ordine degli Avvocati di Milano e del Dipartimento di Scienze Giuridiche Cesare Beccaria dell’Università degli Studi di Milano.
Gli istituti oggetto di analisi disciplinano due modelli alternativi di gestione in prevenzione, finalizzati alla decontaminazione delle componenti illegali delle imprese infiltrate dalla criminalità organizzata. Trattasi dell’approdo normativo di un più moderno approccio alle misure di prevenzione patrimoniali, nell’ottica di un intervento chirurgico su realtà economiche che appaiono, seppur contaminate, non compromesse nel core business dall’azione della criminalità organizzata e pertanto meritevoli di un intervento eterodiretto, volto alla bonifica programmatica delle posizioni critiche.
La ratio della misura dell’amministrazione giudiziaria ex art. 34 e del controllo ex art. 34 bis del D. Lgs. 159/2011 è rinvenibile nella necessità di impedire che un’attività economica che presenti connotazioni agevolative del fenomeno mafioso e, dunque operi in posizione di contiguità rispetto a soggetti indiziati di appartenere alla criminalità organizzata, possa costituire un utile strumento di sostegno dei sodalizi mafiosi, sia sul piano strettamente economico, sia su quello di un più agevole controllo del territorio e del mercato, con inevitabili riflessi espansivi dell’infiltrazione criminale in settori ed attività in sé leciti.
La proiezione verso la nuova frontiera delle misure di prevenzione patrimoniale, che l’Avv. Nardo, nei saluti per conto dell’Ordine Forense di Milano, ha definito “istituti di prevenzione in fase 2.0 o 3.0”, ha portato a confrontarsi magistrati e professionisti sull’essenza di queste misure, potenziate dalla recente riforma della L. 161/2017, nell’ordine di una compartecipazione pubblico privato nella creazione di modelli di profilassi aziendale.
L’organizzazione, coordinata dalla Dott.ssa Marcella Vulcano, ha operato la selezione scientifica degli argomenti nell’ottica di un approccio che potesse fornire un inquadramento teorico della complessa materia e altresì un approfondimento operativo della stessa, con un’attenzione particolare riservata alla formazione specializzante dedicata alle professionalità impegnate in questo settore, la cui rilevanza è stata accentuata nei saluti iniziali degli Ordini professionali e del Presidente di Advisora, Avv. Salvatore Leone Giunta.
La prima sessione dal titolo “I programmi di bonifica aziendale tra organizzazione e prevenzione” è stata moderata da Costantino Visconti – Professore ordinario di Diritto Penale presso il Dipartimento DEMS dell’Università di Palermo – il quale, una volta introdotta dogmaticamente la materia, ha proceduto a scandire i tempi di analisi e cogliere le suggestioni dei relatori impegnati – in qualità di avvocati, amministratori giudiziari e controllori – nelle attività di attuazione delle linee programmatiche tipiche di tali istituti.
Il moderatore ha evidenziato, in linea con i suoi contributi dottrinali in materia, come tali misure si prestino a costituire il prototipo di un intervento giudiziario più flessibile ed in grado di intercettare forme di infiltrazione perniciose e mimetiche in ambito economicoimprenditoriale.
Al contempo, si è sottolineato come possano rappresentare “un’ancora di salvezza dei presidi del diritto penale”, attraverso l’utilizzo davvero preventivo di programmi di bonifica, resi effettivi dalla compenetrazione necessaria fra competenze giuridiche e aziendalistiche. Il Prof. Visconti ha intravisto in questo settore l’avvento di una “prevenzione del dialogo” (agli antipodi della “prevenzione di guerra”, avversata dalla dottrina penalistica maggioritaria), nella quale la negoziazione fra Autorità giudiziaria e imprenditore diviene essenziale per portare effettivamente all’interno delle organizzazioni aziendali dei progetti condivisi di protezione del valore azienda.
Nella prima relazione, Giovanni Mottura – Commercialista in Roma e Milano, amministratore giudiziario, Presidente INAG – ha posto l’accento sulla principale problematica operativa dell’Amministratore giudiziario dei beni connessi ad attività economiche: quella di rinvenire i contorni esatti del proprio potere d’azione.
Premesso, infatti che l’art. 34 D.Lgs. 159/2011 prevede che l’amministratore possa esercitare financo i poteri spettanti agli organi di amministrazione ed agli altri organi sociali, si determina a monte la criticità di individuare la casistica che possa condurre allo spossessamento totale, ovvero al più blando monitoraggio. La risposta, dichiaratamente provocatoria, proposta dalla conoscenza del relatore delle best practices in materia di misure di prevenzione classiche, è quella di utilizzare il parametro offerto dall’art. 41 D.Lgs. 159/2011, per verificare quando incorrano ipotesi che determino la necessità dell’assunzione delle cariche suddette o meno, in ragione della concreta prognosi di perseguibilità dell’attività, anche in rete.
Tale suggestione è stata utilizzata dal moderatore per far riflettere la platea sulla questione che pare essere alla base di tale nuovo istituto: quella della tutela del principio della prosecuzione dell’attività d’impresa, che si presta a bilanciare – in questi modelli – il principio della tutela dell’ordine pubblico. In ordine a questa linea guida, si pone come prodromico e necessario distinguere, in base al caso concreto i “fenomeni dell’impresa criminale”, dotata di dna intrinsecamente criminale, dai “fenomeni criminali dell’attività d’impresa”, laddove la contaminazione criminale può prestarsi ad un intervento chirurgico.
Su tale stimolo si è instaurato l’intervento di Giuseppe Sanfilippo, Commercialista in Palermo, amministratore giudiziario componente del consiglio direttivo dell’Istituto Nazionale Amministratore Giudiziari (INAG), che ha enfatizzato l’importanza della storia delle misure di prevenzione, per darne una lettura diacronica corretta e fornirne un’attuazione adatta al campo di applicazione in concreto.
Roberto Paese – Commercialista in Milano, amministratore giudiziario, associato Advisora, è intervenuto proprio in ordine ad una lettura teleologica della norma riformata, a partire dalle esperienze di controllo giudiziario ante litteram, sia a livello normativo che giurisprudenziale. L’art. 3 quinquies, comma 3, L.575/1965 – ormai inglobato dal D.Lgs. 159/2011 come riformato – costituisce l’antesignano dell’attuale controllo, potendosi esso intendere come una sorta di “vigilanza prescrittiva” a seguito di revoca della misura di prevenzione, per monitorare l’azienda restituita al prevenuto. L’art. 15 del D.Lgs. 231/2001 descrive, invece, un’ipotesi di commissariamento dell’ente indagato, in alternativa alla sanzione interdittiva, quale forma di “vigilanza riabilitativa”. Mentre l’art. 32, comma 8, D.L. 90/2014, prevede un’ipotesi di sostegno e monitoraggio nell’ambito della normativa per la lotta alla corruzione, nella forma delle prescrizioni operative.
Il relatore ha rilevato come questi precedenti, ancorché abbiano differenti presupposti ed appartengano a diverse branche dell’ordinamento, siano tutti caratterizzati dalla medesima finalità: salvaguardare la continuazione dell’attività aziendale nelle more del giudizio, lasciando persistere al governo complessivo dell’impresa l’organo amministrativo originario. Trattasi di interventi legislativi che direzionano la politica criminale dello Stato verso l’adozione di strumenti alternativi alle sanzioni penali patrimoniali tradizionali, in ordine alla correzione delle devianze criminogene attraverso la procedimentalizzazione di specifici compliance programmes, eseguiti sotto l’egida dell’Autorità Giudiziaria.
Posto che la questione dei sequestri penali e di prevenzione assume oggi proporzioni importanti, nella strategia di aggressione ai patrimoni illecitamente accumunati, tanto da intaccare la politica economica, secondo il Dott. Paese, deve sempre essere discusso e garantito il principio di proporzione di ogni procedimento sanzionatorio o ablatorio, ove è fondamentale un giudizio di bilanciamento fra la tutela dei beni costituzionalmente garantiti e la lotta alla criminalità economica.
Sono stati passati, infine, in rassegna due precedenti giurisprudenziali: un caso di custodia giudiziaria comminata ante litteram dal P.m. del Tribunale di Rossano Calabro nel 2006 e il caso del sequestro del Parco Eolico di Crotone del 2014. Secondo il relatore, tali casi possono fondare la prospettazione di un’applicazione moderna delle misure di prevenzione, più in linea con col senso originariamente auspicato dall’onorevole Pio La Torre, che nel 1982 così concludeva un suo pubblico discorso “Noi concepiamo la lotta alla mafia come un aspetto della più generale battaglia di risanamento e rinnovamento democratico della società italiana”.
Il Prof. Visconti, cogliendo le sollecitazioni provenienti anche dal confronto con i relatori, ha rilevato come il capitalismo italiano – di struttura sostanzialmente familistica, tendente al nanismo – porti con sé l’impossibilità di distinguere talvolta l’organigramma aziendale dall’organizzazione della famiglia. In questi casi, diventa importante mappare l’organizzazione aziendale, per far emergere il corpo procedurale esistente e migliorarne l’efficacia.
Giuseppe Sanfilippo, ha chiuso la sessione, riferendo del ruolo di supporto dell’amministratore giudiziario all’attività dell’A.G. nelle procedure ex artt. 34 e 34 bis, a corredo dei confronti istaurati dialetticamente durante le relazioni dei Colleghi. La luce dell’osservazione è stata puntata sulla differenza ontologica dei beni che venivano posti sotto misura patrimoniale trenta anni fa, rispetto ai beni oggetto di misura oggi. Nell’arco di un trentennio si è passati dalla gestione in amministrazione di campi e terreni alle odierne misure poste a carico di aziende strutturate, dal respiro internazionale, quotate in borsa, con implicazioni e ricadute importanti in termini di tutela dei livelli occupazionali. Il filo conduttore nella gestione di beni così strutturalmente diversi, può essere solo il “buon senso” : il buon senso applicato alla scelta dei coadiutori e applicato alla gestione delle criticità in contraddittorio con i soggetti coinvolti, compreso l’imprenditore, al quale va data la misura del suo ruolo, nell’ottica di una collaborazione proattiva volta al risanamento aziendale, sotto l’egida di un’Autorità, rispetto alla quale l’amministratore-controllore conserva un obbligo di trasparenza e costante referto.
Al termine delle relazioni, è seguito un quesito posto dal Pres. Roia all’indirizzo del Prof. Visconti con riferimento ai lavori preparatori dell’attuale art. 34 bis (ai quali ha partecipato), ed in particolare con riguardo all’automatismo originariamente pensato fra l’opposizione all’interdittiva antimafia e la possibilità di accedere al controllo giudiziario, a prescindere dal vaglio del Tribunale. La questione crea interesse, in quanto il testo dei lavori preparatori è stato licenziato in maniera diversa, per cui oggi le valutazioni per la concessione della misura devono necessariamente essere poste in essere dall’Organo Giudiziario competente, tenendo conto della “bonificabilità” in concreto dell’istante, soprattutto in quei casi in cui il veicolo di infiltrazione è di tipo familistico.
Il moderatore, in risposta al quesito, ha riferito del dibattito sul suddetto automatismo, spiegando come si fosse pensato di poter concedere alla stessa azienda l’opzione di presentare nella richiesta un piano di bonifica, proprio a dimostrazione della propria attitudine organizzativa all’elisione degli indici di infiltrazione individuati in sede prefettizia.
La questione del ruolo del Tribunale in sede di vaglio dei requisiti e costruzione del modello di bonifica è divenuta oggetto di approfondimento della seconda sessione del convegno, intitolata “Presupposti e applicazione degli strumenti di bonifica aziendale diversi da quelli ablatori (artt. 34 e 34 bis cod. antimafia)”, moderata da Fabio Basile, Professore ordinario di Diritto Penale, Università degli Studi di Milano.
Il primo intervento è stato a cura di Fabio Roia – Presidente della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano, che ha dato conto dell’intervento nella legalità aziendale attraverso il controllo mite nell’esperienza lombarda.
Il Presidente ha connotato preliminarmente l’intervento con un’osservazione di fatto, secondo la quale gli istituti dei quali si tratta non sono oggetti ad impugnazione e ciò comporta come conseguenza la mancanza di interpretazione giurisprudenziale in chiave nomofilattica della Corte di Cassazione, potendo arrivare alla stessa solo le procedure esitate in maniera infausta. Ciò conduce a concludere che tali misure vengano di fatto applicate dai giudici del merito, in maniera strettamente connessa al locus di applicazione, con tutto ciò che ne consegue in termini di valutazione ed interpretazione dei requisiti di applicabilità delle stesse.
La riflessione, dunque, si è spostata proprio sulla disamina dei requisiti di applicazione di tali istituti, che, come previsto dalla lettera della norma, si pongono come residuali rispetto a quelli previsti per il sequestro e la confisca di prevenzione. Ciò presuppone una selezione operata già dalla Procura proponente, non potendosi immaginare – secondo l’esperienza milanese – una proposta omnicomprensiva di tutti gli istituti di prevenzione, essendo essi basati su requisiti non compatibili. Nel 34 e 34 bis non si parla di riconducibilità del soggetto alle categorie di pericolosità sociale, con verificata compenetrazione fra attività d’impresa e soggetto pericoloso proposto. I nuovi istituti appaiono riferibili a posizioni di terzietà, per cui – secondo la proiezione tecnica esposta dal relatore – la costruzione della proposta non può essere alternativa e la grammatica probatoria a sostegno della stessa deve essere focalizzata sul riconoscimento dei requisiti specifici del 34 (agevolazione o sottoposizione al metodo mafioso, con riferimento a soggetti sottoposti a misure di prevenzione patrimoniale ovvero a procedimenti penali per i reati catalogo indicati) e del 34 bis (agevolazione occasionale o ricezione di interdittiva antimafia impugnata).
L’analisi del Pres. Roia si è snodata sulle intuizioni elaborate dalla sezione milanese, che nell’ultimo quinquennio, con le procedure Fiera Milano spa, Lidl italia srl, NoloStand spa, ha acquisito un’esperienza d’avanguardia nel settore del controllo, quale misura attenuata di monitoraggio ed intervento nell’alveo della colpa di organizzazione aziendale dei soggetti destinatari.
Faro giurisprudenziale di tali decreti è stata la storica pronuncia della Corte costituzionale n. 487/1995, che impone di indagare i limiti entro i quali appare lecito comprimere l’attività di impresa, intesa come valore costituzionalmente garantito. Il Tribunale di Milano ha individuato tale limite nel rimprovero di natura colposa nell’ambito dell’organizzazione aziendale, con riferimento ai presidi di legalità, oggetto di ripristino attraverso la misura del controllo.
Il Presidente, cogliendo la suggestione del Dott. Sanfilippo riferita al buon senso nella gestione, ha confermato come il Tribunale di Milano si sia ad esso ispirato anche nella fase della selezione della misura, sforzandosi di trovare un presidio normativo al “buon senso” e rinvenendolo nel principio di proporzionalità e adeguatezza, tipico delle misure reali patrimoniali (d’altronde è lo stesso codice antimafia a rinviare al codice di procedura penale, per la copertura degli eventuali iati procedurali).
Per la disposizione ante litteram del controllo giudiziale nel caso di Fiera Milano, la sproporzione è stata riscontrata fra assunzione del rischio di impresa e la realtà dei fatti emersi dalle indagini. Alla luce di tale sperequazione organizzativa, è stata disposta un’amministrazione giudiziaria di cui all’art. 34 (ante riforma) con sistema prescrizionale e monitoraggio esterno, in una modalità che sostanzialmente ricalca il testo della norma introdotta nel 2017 (art. 34 bis).
Con riferimento alle esperienze post- riforma, il Presidente Roia ha affrontato il problema della corretta istaurazione del contraddittorio, in caso di richiesta di parte, ai sensi dell’art. 34 bis, comma 6, potendosi esso estendere alla Prefettura, la quale nell’esame amministrativo concernente la documentazione antimafia, fonda le proprie determinazioni su atti di indagine relativi a procedimenti penali, non necessariamente conclusisi. Con riguardo ai requisiti da accertare, a parere del relatore, appare centrale la valutazione circa la terzietà dell’impresa rispetto al soggetto per il quale è stata emessa l’interdittiva antimafia, con tutte le problematiche già anticipate rispetto al veicolo di infiltrazione familistico, problematiche che emergono in tutta la loro evidenza nel trattamento operato dai diversi giudici di merito rispetto, ad esempio, al caso dell’esercizio commerciale della tabaccheria.
Il Tribunale di Milano, nell’elaborare la pianificazione delle prescrizioni, ha sempre privilegiato la strada della condivisione del piano con i professionisti che seguono l’impresa. In questo quadro l’amministratore-controllore non può diventare strumento di indagine dell’Autorità (“non deve essere surrettiziamente utilizzato come agente provocatore” dice il Pres. Roia), perché, accanto all’irrinunciabile ruolo di presidio di legalità ed al rapporto fiduciario con la stessa, deve coltivare il legame di fiducia con l’imprenditore che si presta all’attuazione proattiva del programma di bonifica.
L’intervento del Prof. Basile, in funzione di moderatore, è stato orientato a porre sul piano della discussione tre punti focali: innanzitutto, sul versante dogmatico, l’essenza degli istituti in analisi si stanzia sul presupposto che essi costituiscano gli unici strumenti di prevenzione, che prescindono dalla verifica della pericolosità sociale. In tale assunto trova la sua ragion d’essere la disquisizione sulla qualità di terzietà dell’esercente l’attività economica (la società, l’azienda) rispetto al portatore della pericolosità o della caratura criminale.
Altro dato analitico di sistema rilevate è che entrambi gli strumenti richiedono l’agevolazione, ma nell’art. 34 l’agevolazione può essere potenziale, mentre nel 34 bis l’agevolazione può essere anche solo occasionale, ma di logica è occasionale solo un’agevolazione effettiva. Tale rilievo pone in discussione il rapporto di “più a meno” che dovrebbe regnare fra le due figure, potendosi disporre un controllo solo nella effettività della agevolazione occasionale e un’amministrazione anche in caso di potenziale agevolazione.
Infine, il moderatore ha approfondito la disamina della sentenza citata della Corte Cost. n.487/1995, nella parte dispositiva nella quale esclude l’eccezione di incostituzionalità per responsabilità per fatto altrui, rendendo applicabile un principio personalistico della responsabilità penale alle misure di prevenzione. Rispetto a tale sentenza, il Prof. Basile ha posto in dubbio l’applicazione di quegli assunti dinanzi al novum normativo, che prevede l’applicazione della “nuova prevenzione antimafia” anche con riferimento all’impresa vittima.
Ciò pone il commentatore dinanzi alla necessità di esplorare con occhi vergini i contorni della natura di queste misure, forse non più solo preventive ma anche terapeutiche.
Il testimone di questa staffetta di approfondimento viene passato a Paolo Storari – Sostituto Procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, che porta alla luce l’ottica dell’organo proponente.
Secondo il relatore, per approfondire l’analisi, si rende necessaria un’opera di precomprensione che si fonda su due assiomi: i reati con implicazioni di carattere economico sono commessi da imprese (l’autore del reato persona fisica è un non sense). Secondo poi, l’impresa coinvolge una serie di interessi terzi, in primis lavoratori, che devono essere tenuti in considerazione nel momento della costruzione della proposta e della disposizione della misura.
In quest’ottica, il principio di proporzionalità svolge un ruolo primario, così come acclarato dalla giurisprudenza costante della Corte di Giustizia europea e dalla raccolta del massimario della
Corte di Cassazione del 2017, che contiene un intero capitolo dedicato al rapporto fra misure di prevenzione reali e principio di proporzionalità e adeguatezza.
A parere del Pubblico ministero sono necessarie nell’assetto ordinamentale norme che consentano il controllo di legalità sull’agire delle imprese che commettono reati, attraverso tre macrosistemi afferenti all’area di competenza della Procura: il sistema disegnato dall’art. 2409 c.c. (gravi irregolarità dell’amministratore), quello tracciato dal D.Lgs. 231/2001 (responsabilità amministrativa da reato degli enti) e quello introdotto dagli attuali artt. 34 e 34 bis.
Rispetto ai primi due istituti, gli ultimi si caratterizzano per due caratteristiche intrinseche e procedurali: la tipica fluidità dei rapporti e l’ampliamento dei casi di prosecuzione dell’attività. Infatti, a fronte delle cadenze burocratizzate dell’ambito civilistico, gli istituti in discussione si possono disporre inaudita altera parte, con contraddittorio differito e, a differenza della logica sanzionatoria del D.Lgs. 231/2001 (con l’eccezione ristretta dell’art.15) essi sono preordinati proprio alla prosecuzione dell’attività.
A parere del Dott. Storari, alla luce della necessità di intervenire sull’attività delle imprese, bisogna leggere il bagaglio informativo pervenuto in Procura, in modo da orientarne l’interpretazione. Difatti, l’irrigidimento della valutazione circa la terzietà porta gli inquirenti a doversi direzionare verso capi di imputazione e contestazioni ai sensi del D.Lgs. 231/2001, tuttavia tale impostazione riveste un carattere sanzionatorio e non incline alla prosecuzione dell’attività d’impresa (possibile soli ai sensi del commissariamento ex artt. 15 e 53, che presuppone la compresenza dell’interdittiva e valutazioni su rilevanti problemi occupazionali).
Vieppiù, ha fatto notare il relatore, nel sistema penalistico il giudice è impegnato in valutazioni concernenti le misure personali cautelari e gli addentellati della responsabilità penale, mentre l’attivazione delle misure di prevenzione innesta un processo al patrimonio, sotto l’egida di un giudice specializzato, dedicato interamente alle complesse ricostruzioni degli assetti economici.
Inoltre, in risposta alle sollecitazioni dei precedenti relatori, secondo il Dott. Storari, la soluzione che consentirebbe una maggiore applicazione dell’art.34, viene rinvenuta nel valutare il rapporto di alterità fra “impresa e mafia”, non fra “persona fisica e mafia”; ciò consentirebbe di applicare l’art.34 anche se la persona fisica è indagata, purché l’impresa abbia una posizione di alterità.
In chiusura, il relatore ha invitato a non sopravvalutare il paradigma dell’interesse pubblico, posto che nel cosmo delle misure di prevenzione la giurisprudenza assume una funzione particolarmente creativa ed in materia oggi il Tribunale di Milano svolge un ruolo di guida, derivante da una consolidata opera di co-produzione di norme fra magistrati, imprenditori e professionisti che li assistono, nell’idea socio-giuridica di un diritto che nasce dal basso, dagli operatori che fanno un uso sapienziale della norma a tutela del valore dell’impresa, posto in bilanciamento col bene giuridico dell’ordine pubblico.
Il moderatore, facendo perno sull’ontologica fluidità delle misure prevenzione di nuova generazione, ha evidenziato la caratteristica conforme della proporzionalità rispetto al valore dell’efficacia, pensata dal legislatore in virtù del fatto che una misura iniziata secondo un prototipo, possa concludersi trasformandosi in altro istituto, con esiti proporzionati alla funzione effettivamente preventiva.
A completare il quadro delle relazioni rese dai giudici, è intervenuto Massimo Urbano – Magistrato della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
La visione del magistrato, che opera in una delle circoscrizioni territoriali storicamente più sensibili rispetto alla materia della prevenzione, è apparsa per taluni tratti differente rispetto alle impostazioni dei colleghi del nord.
In primis, si è manifestato favorevole alla possibile proposta composita, che possa prevedere, cioè, la richiesta dell’applicazione del sequestro di prevenzione di cui all’art. 20 ed in subordine la proposta ex art. 34 e 34 bis del D.Lgs. 159/2011, nell’ottica di un rapporto funzionale fra Procura e Tribunale di prevenzione, che possa convergere verso un intento non solo sanzionatorio, ma nella logica della prosecuzione dell’attività d’impresa (come avviene nel mondo delle procedure concorsuali moderne).
Il Dott. Urbano ha precisato che, per l’ermeneusi da lui cavalcata in materia di terzietà (con agevolazione non dolosa, né colposa), sia stato necessario valutare il requisito dell’alterità in base al concreto dipanarsi delle relazioni aziendali sul territorio, soprattutto in contesti ad alta densità mafiosa, nei quali la denuncia dell’imprenditore diviene condotta non esigibile, pertanto in tali casi l’interdittiva antimafia del Prefetto è giustificata, ma la valutazione del Tribunale di prevenzione dovrebbe poter andare oltre. In tali realtà, secondo il relatore, l’apprezzamento sulla terzietà perde mordente, in favore di una valutazione critica sull’occasionalità dell’infiltrazione, calibrata sulla realtà territoriale vissuta dall’imprenditore.
Sulla legittimazione alla partecipazione all’udienza in camera di Consiglio, il magistrato è apparso aperto alla partecipazione della Prefettura, in caso di applicazione della misura a seguito di istanza ex art. 34 bis, sesto comma. Restano aperte le questioni sulla partecipazione dei soggetti interessati, come l’assegnatario del contratto di appalto concernente la società interessata dalla misura. Il magistrato, nella risoluzione delle questioni processuali critiche, ha asserito di valutare la materia in modo dinamico, tenendo in considerazione le sue componenti para-penalistiche e quelle che la avvicinano alla volontaria giurisdizione, anche per superare le strette paratie dei procedimenti amministrativi.
La convergenza con la visione del Tribunale di Milano, si è celebrata nella precisazione circa il fatto che il programma di bonifica debba essere predisposto dal Tribunale dal decreto dispositivo, consentendo una partecipazione del destinatario solo a seguito di una valutazione dell’intensità di infiltrazione, della tipologia di attività svolta e della capacità organizzativa rinvenuta, in quanto la gamma prescrizionale predisposta dal Tribunale può persino essere più incisiva di una misura preventiva classica, imponendo obblighi di comunicazione e trasparenza penetranti.
L’intervento di chiusura è stato affidato all’inquadramento tecnico-procedurale di Manfredi Bontempelli – Professore associato di Procedura Penale, Università degli Studi di Milano – che ha assolto l’arduo compito di illustrare le maglie dell’accertamento probatorio nell’ambito della nuova prevenzione antimafia.
L’analisi è entrata subito nel vivo delle conseguenze in senso tecnico delle novità normative, soprattutto con riferimento ai nuovi poteri d’ufficio conferiti al Tribunale misure di prevenzione, che – secondo il relatore – aprirebbero l’opportunità di applicare le misure ex artt. 34 e 34 bis, anche a procedure in essere.
Il relatore ha messo a disposizione una dettagliata relazione sull’inquadramento normativo dei requisiti delle due misure, pertanto si è concentrato sull’analisi degli aspetti maggiormente dibattuti in dottrina, primo fra tutti il rapporto fra questi nuovi istituti e la logica del D.Lgs. 231/2001. Rispetto a questo micro-cosmo, il Professore ha fatto notare come non esista una preclusione assoluta all’applicazione degli artt. 34 e 34 bis in casi interessati da responsabilità amministrativa da reato degli enti.
Se è vero che nell’ottica del D.Lgs. 231/2001 l’attività criminale è compiuta nell’interesse dell’impresa, mentre negli istituti citati l’impresa è funzionale agli interessi criminali, si può determinare l’unica incompatibilità fra i due strumenti solo in presenza dei requisiti di commissariamento dell’ente ai sensi dell’art. 15 D.Lgs. 231/2001. Il Commissariamento viene disposto, su base indiziaria nell’ambito di un procedimento penale, quando appare che l’ente o una sua unità organizzativa venga stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati di criminalità organizzata previsti dall’art. 24 ter, in questo caso, quindi, l’impresa aiuta le associazioni mafiose e non è da queste aiutata.
Con riferimento all’esito possibile della procedura, il Prof. Bontempelli ha precisato che il rapporto di alternatività fra la confisca e l’amministrazione giudiziaria, già chiaro in base all’art. 34, comma 1, D.Lgs. 159/2011, è ulteriormente corroborato dal comma 6 del medesimo articolo.
La disposizione condiziona alla revoca del provvedimento di amministrazione giudiziaria la “confisca dei beni che si ha motivo di ritenere che siano il frutto di attività illecita o ne costituiscano il reimpiego”. Dal punto di vista della regola probatoria, pare ragionevole allineare questa fattispecie alla “confisca per reimpiego” ex art. 24 codice Antimafia. Secondo il relatore, dopo la novella del 2017, è caduto il congegno impositivo dell’obbligo di giustificazione della legittima provenienza dei beni e non è più prevista la scansione procedurale imperniata sulle “ulteriori indagini e verifiche”, ma non è venuto meno il collegamento dell’amministrazione giudiziaria con la confisca “per reimpiego” ex art. 34 comma 6 D.Lgs. 159/2011, testo attuale, che resta applicabile a prescindere dall’instaurazione di un procedimento di prevenzione e anche in caso di amministrazione giudiziaria dell’impresa “vittima”.
Infine, con riferimento alla valutazione della terzietà, si è suggerita un’indagine in senso sostanziale-processuale, che valorizzi la finalità dell’istituto, non tanto repressiva, quanto preventiva, volta cioè a contrastare la contaminazione mafiosa di imprese sane, sottoponendole a controllo giudiziario con lo scopo di sottrarle all’infiltrazione criminale e restituirle al libero mercato una volta depurate dagli elementi inquinanti, secondo i parametri enucleati dalla citata sent. Corte Cost. n. 487/1995. In questo senso, la tesi del funzionamento a bassa intensità sanzionatoria dell’amministrazione giudiziaria può essere accolta e sviluppata, solo se viene indagato, anche in termini di grammatica probatoria, il legame degli istituti analizzati con la confisca di prevenzione.
Il Prof. Basile ha aperto il dibattito, al quale hanno partecipato con incalzanti quesiti i membri di Advisora, la rete di professionisti che coopera su tutto il territorio nazionale nelle amministrazioni giudiziarie, e i ricercatori dell’Università di Milano. Questi ultimi hanno mostrato un interesse crescente della giovane dottrina rispetto a queste tematiche, che si presentano come intrinsecamente pluridisciplinari e tali da consentire una contaminazione reciproca fra suggestioni giuridiche ed aziendalistiche. Il dibattito con i dottorandi in “Studi sulla criminalità organizzata” dell’Università di Milano ha introdotto una questione sulla possibilità di sostenere l’ipotesi scientifica circa l’idoneità degli istituti esaminati a consentire l’esportabilità di un modello tutto italiano di intervento chirurgico e terapeutico nelle realtà imprenditoriali, in linea con l’ermeneusi della Corte Edu e più facilmente comunicabile rispetto ad ordinamenti che non conoscono ipotesi di non conviction based confiscation.
Il Convegno si è concluso nella soddisfazione generale, atteso l’alto livello dei contributi offerti e la risposta attenta e partecipata del pubblico presente.