A cura di Marcella Vulcano
L’interessante articolo a firma di Giuseppe Farchione e Nello Rapini, partners RSM, approfondisce il tema della democratizzazione delle imprese e della loro gestione recentemente proposto quale obiettivo centrale nella definizione di un mondo postpandemico più giusto che metta la vita delle persone al centro delle relazioni sociali e dell’economia. È quanto sostengono numerosi illustri economisti in tutto il mondo che promuovono il Democratizing work, nato dall’appello sottoscritto da 3000 studiose e studiosi, accademici e accademiche attivi in oltre 600 atenei di tutto il mondo. Il Movimento nasce per la difesa del lavoro contro la sua mercificazione, per una partecipazione democratica all’organizzazione dello stesso, per il suo contributo al risanamento ambientale. Come nell’esperienza positiva della co-determinazione tedesca, il punto qualificante della partecipazione attiva dei lavoratori alla Governance aziendale è rappresentato dalla valorizzazione della manodopera, dove la forza lavoro viene vista come valore aggiunto dell’azienda e il coinvolgimento dei lavoratori e delle lavoratrici nelle decisioni aziendali quale qualità imprescindibile. La rappresentanza dei lavoratori nel board delle imprese apporta competenze molto preziose nel processo decisionale delle aziende e fornisce un potente strumento per monitorare le decisioni degli azionisti e il comportamento del management. La partecipazione dei lavoratori può intervenire sulle decisioni riguardanti gli investimenti delle aziende, le condizioni di lavoro, la formazione, l’impatto ambientale e del cambiamento tecnologico sugli stili di vita, e altro ancora.
Da un recente studio è emerso che i Paesi che adottano forme di cogestione presentano una migliore performance negli otto indicatori utilizzati da Eurostat per misurare il progresso in confronto ai cinque principali obiettivi Europa 2020, che sono:
• percentuale del 75% di occupati sulla popolazione dai 20 ai 64 anni;
• spese per ricerche e sviluppo pari a 3% del Pil
• raggiungimento dei traguardi europei 20-20-20 (20% di tagli alle emissioni di gas inquinanti; 20% di energie rinnovabili sul totale e 20% di riduzione dei consumi di energia)
• la percentuale di uscita dalla scuola primaria sotto al 10% e almeno il 40% della popolazione dai 30 ai 34 anni con una laurea;
• almeno 20 milioni di persone fuori dal rischio di povertà e di esclusione.
I mercati, le istituzioni e le tecnologie sono il risultato di un processo di creazione collettiva, da parte di attori pubblici e privati. Il successo di una strategia industriale deve essere confrontato con la capacità di generare dinamiche virtuose e pervasive, che producano innovazione e cambiamento sistemico. Il ruolo dello Stato deve essere quello di favorire la creazione di ciò che altrimenti non verrebbe mai realizzato, instaurando rapporti di collaborazione fra pubblico e privato nel raggiungimento di obiettivi condivisi. E’ dunque auspicabile un intervento legislativo che promuova la democrazia sui luoghi di lavoro, la codeterminazione e la partecipazione attiva dei lavoratori nelle aziende per creare nuove opportunità di crescita inclusiva e sostenibile. Come affermava Adriano Olivetti “la fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti: deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia”. E’ necessario che le imprese utilizzino le proprie capacità e risorse in collaborazione con i governi e la società civile per contribuire attivamente a un mondo più coeso e sostenibile. Solo in questo modo sarà possibile realizzare una democratizzazione del lavoro in Italia, una trasformazione che sia d’impatto, duratura, democratica e che metta i lavoratori al centro del processo verso un nuovo capitalismo umanista.
Nell’articolo in commento gli autori individuano i possibili strumenti utili ad introdurre forme di partecipazione dei lavoratori al governo d’impresa, attraverso una scala ideale, dove il livello d’intensità della partecipazione aumenta in ordine crescente.
DEMOCRATIZZARE IL LAVORE E’ POSSIBILE