A cura di Stefania Di Buccio
L’Onorevole Pio La Torre è stato assassinato all’età di 55 anni da cosa nostra a Palermo il 30 aprile del 1982, mentre era a bordo di una Fiat 132 in compagnia del suo collaboratore e amico Rosario Di Salvo, di anni 36.
Pio La Torre era nato nel quartiere palermitano di Altarello, iscritto al Partito comunista nel 1945, si distinse per l’attività esercitata come sindacalista della Cgil, nelle iniziative di protesta a tutela dei contadini siciliani contro i latifondisti. Divenne consigliere comunale a Palermo, segretario regionale della Cgil, deputato all’assemblea regionale e dal 1973 parlamentare del Partito comunista italiano.
Nel 1981 aveva presentato alla Camera un disegno di legge rubricato «Norme di prevenzione e di repressione del fenomeno della mafia e costituzione di una commissione parlamentare permanente di vigilanza e di controllo» finalizzato all’introduzione nell’ordinamento italiano del reato di associazione di tipo mafioso e di nuovi strumenti di aggressione patrimoniale dei beni illecitamente accumulati.
La sua attività di parlamentare, il suo passato di sindacalista e di attivista a sostegno della gente vittima dei soprusi mafiosi lo ha reso un bersaglio della consorteria criminale, sentitasi toccare nei punti nevralgici della sua essenza. L’introduzione del reato, infatti, aveva portato per la prima volta nel codice penale l’aggettivo “mafioso” e ne aveva descritto il metodo con una sintesi sociologico giuridica perfettamente descrittiva dei connotati propri dell’agire mafioso.
«L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali».
Il fenomeno mafioso non si qualifica solo come fenomeno squisitamente criminale, perché si dipana sul crinale di condotte anche astrattamente lecite, che vengono però perpetrate poggiando sull’intimidazione e l’omertà che genera ontologicamente l’esistenza della struttura organizzativa, per come viene percepita e subita da un contesto sociale organizzato. Chiamare per nome la mafia e cristallizzare in una fattispecie criminale il suo agire significa identificarla e renderla un bersaglio della politica criminale dello Stato.
L’introduzione di strumenti di contrasto all’accumulazione patrimoniale illecita, in modo complementare, ha attivato i prodromi di una legislazione antimafia orientata all’efficacia dell’intervento, non solo in termini di repressione delle condotte dei soggetti, ma anche di eliminazione dei vantaggi economici provenienti dall’agire criminale. Attaccare le mafie sul versante patrimoniale significa depotenziarne le risorse ed eliminare, attraverso la confisca, i simboli di cristallizzazione del suo potere nella realtà.
Pio La Torre portò in Parlamento questa visione cristallina di cosa la mafia fosse e di come colpirla nel fulcro della sua struttura e questo gli costò la vita.
Nel quarantennale della sua morte è ancora viva la sua voce nel tessuto normativo italiano, che ne ha sviluppato le intuizioni attraverso una legislazione che oggi è guardata come modello dalle organizzazioni internazionali.
Sono attivi Centri studio, un Master universitario, Archivi parlamentari, Presidi associativi che portano il suo nome, per celebrarne la memoria e per orientare la sensibilità pubblica a perseguire l’impegno civico del quale Pio La Torre era e resta una voce imperitura.