A cura della Redazione
Corte di Cassazione, Sezione II, Sentenza n. 46538 del 6 ottobre 2022 (dep. 9 dicembre 2022).
La sezione seconda della Suprema Corte, con sentenza n. 46538 del 6 ottobre 2022 (depositata il 09 dicembre 2022), interviene in tema di autoriciclaggio occupandosi dell’accertamento della condotta dissimulatoria necessaria ai fini dell’integrazione del reato di autoriciclaggio.
La vicenda trae origine dalla impugnazione di una sentenza emessa dalla Corte di Appello di Palermo che, in parziale riforma della decisione del Gup del Tribunale di Palermo riqualificava, per uno degli imputati, i fatti ai sensi dell’art. 648-bis c.p.
La difesa, sullo specifico punto, lamentava violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo al giudizio di responsabilità per i fatti di autoriciclaggio contestando che il trasferimento sul proprio conto corrente da parte del ricorrente delle somme sottratte per effetto delle condotte di peculato e il successivo bonifico a persona giuridica diversa integrasse la contestata fattispecie di autoriciclaggio. L’evidente tracciabilità dei movimenti economici elideva la concreta capacità dissimulatoria della condotta in quanto nella specie tutte le operazioni effettuate dal prevenuto erano immediatamente riconducibili senza frapporre alcun ostacolo alla individuazione delle somme e risultavano compiute mediante l’utilizzo del conto corrente dello stesso.
La Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ritiene che la giurisprudenza di legittimità, con orientamento costante, reputi configurabile una condotta dissimulatoria allorché, successivamente alla consumazione del delitto presupposto, il reinvestimento del profitto illecito in attività economiche, finanziarie o speculative sia attuato attraverso la sua intestazione ad un terzo, persona fisica ovvero società di persone o capitali, poiché, mutando la titolarità giuridica del profitto illecito, la sua apprensione non è più immediata e richiede la ricerca ed individuazione del successivo trasferimento (Cass. pen., sez. II, 18 dicembre 2019, n. 16059).
È stato, pertanto, ritenuto integrato il delitto di autoriciclaggio nell’ipotesi di immissione nel mercato di beni provento di furto mediante vendita a terzi, attesa la natura economica di tale attività che trasforma i beni in denaro e produce reddito, così dissimulando l’origine illecita degli stessi e ostacolando concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa (Cass. pen., sez. II, 14 settembre 2021, n. 36180) come pure nel caso di versamento di denaro, provento del delitto di appropriazione indebita, presso un istituto bancario per estinguere debiti ed ipoteche immobiliari, atteso che tale condotta realizza la sostituzione del profitto del reato presupposto, che assume diversa destinazione e transita nella disponibilità di altro soggetto giuridico, consentendo, inoltre, all’imputato di godere dei beni liberi da vincoli reali (Cass. pen., sez. II, 8 settembre 2021, n. 35260) o, ancora, in presenza di un trasferimento di somme oggetto di distrazione fallimentare su conti stranieri di una società controllante di quella fallita (Cass. pen., sez. II, 24 maggio 2019, n. 36121).
La dissimulazione della provenienza illecita di beni e danaro deve, infatti, ritenersi alla stregua di un connotato intrinseco laddove le condotte di trasferimento o sostituzione involgano operazioni finanziarie o investimenti che coinvolgono terzi e allontanano la provvista illecita dall’originario percettore, a prescindere dalla possibilità di ricostruire ex post, in sede investigativa, la filiera.
La giurisprudenza della Corte ha, infatti, chiarito che il criterio da seguire ai fini dell’individuazione della condotta dissimulatoria è quello della idoneità ex ante, sulla base degli elementi di fatto sussistenti nel momento della sua realizzazione, ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene, senza che il successivo disvelamento dell’illecito per effetto degli accertamenti compiuti (nella specie, grazie alla tracciabilità delle operazioni poste in essere fra diverse società), determini automaticamente una condizione di inidoneità dell’azione per difetto di concreta capacità decettiva (Cass. pen., sez. II, 18 dicembre 2019, n. 16059).