A cura della Redazione

Consiglio di Stato, Sezione Terza, sentenza n. 11089 del 20 dicembre 2022

La terza sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 11089 del 20 dicembre 2022 ha ribadito importanti principi in materia di interdittiva antimafia.

Nel rigettare l’appello proposto, la terza sezione del Consiglio di Stato richiama i principi dalla stessa già elaborati in materia di interdittive antimafia considerando tali misure volte, in chiave preventiva, a neutralizzare i fattori distorsivi che nell’economia nazionale, in genere, e nei rapporti con la Pubblica amministrazione, in particolare, possono generare la presenza e l’azione di soggetti in rapporto di collegamento qualificato con il crimine organizzato.

Il caso sottoposto all’attenzione del Consiglio di Stato riguardava il ricorso promosso da parte di una società esercente l’attività di autotrasporti per conto di terzi, avverso una sentenza di rigetto emessa dal Tar per la Lombardia, sezione distaccata di Brescia, relativamente all’impugnazione di una informazione interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Bergamo di diniego di rinnovo dell’iscrizione nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa per le attività di trasporto materiale a discarica per conto terzi e di autotrasporto per conto terzi (cd. “White list”), e i provvedimenti con i quali è disposta la cancellazione dall’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali e l’iscrizione effettuata ai sensi dell’art. 212, comma 8, del D.lgs. n. 152/2006.

Per il Consiglio di Stato le interdittive antimafia sono  “strumenti che si pongono a presidio di valori di rango costituzionale rivelandosi strettamente funzionali alla salvaguardia dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento, dello svolgimento leale e corretto della concorrenza tra le stesse imprese nel mercato e del corretto utilizzo delle risorse pubbliche e che, a fronte della insidiosa pervasività e mutevolezza del fenomeno mafioso, sono opportunamente calibrati sull’utilizzo di tecniche di tutela anticipata oltre che costruiti su un catalogo di situazioni sintomatiche aperto al costante aggiornamento indotto dalla realtà empirica. Come di recente evidenziato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, il provvedimento di c.d. ‘interdittiva antimafia’, di natura cautelare e preventiva, determina una particolare forma di incapacità giuridica, e dunque la in suscettività del soggetto (persona fisica o giuridica) che di esso è destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che determinino (sul proprio cd. lato esterno) rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione (Cons. Stato, Ad. Plen., 6 aprile 2018, n. 3). In tal modo l’ordinamento, dunque, esclude che un imprenditore, persona fisica o giuridica, pur dotato di adeguati mezzi economici e di una altrettanto adeguata organizzazione, meriti la fiducia delle istituzioni (sia cioè da queste da considerarsi come ‘affidabile’) e possa essere, di conseguenza, titolare di rapporti contrattuali con le predette amministrazioni, ovvero destinatario di titoli abilitativi da queste rilasciati, come individuati dalla legge, ovvero ancora essere destinatario di ‘contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate’ (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., n. 3 del 2018 cit.). La misura interdittiva – essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata – non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa sussistere il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata. Come ancora di recente chiarito dai giudici amministrativi (cfr. Cons. Stato, sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105), il pericolo di infiltrazione mafiosa deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere ad un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere ‘più probabile che non’, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa (v., per tutte, Cons. Stato, sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758; Cons. Stato, sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743). La Corte costituzionale, con la pronuncia n. 57 del 2020, ha recentemente affermato la legittimità costituzionale della disciplina vigente sul provvedimento di interdittiva anche quando esso incida su attività d’impresa di natura esclusivamente privata, trattandosi di misura giustificata dall’estrema pericolosità del fenomeno mafioso, in grado di compromettere la concorrenza, la dignità e la libertà umana. La Corte Costituzionale ha rilevato come la giurisprudenza amministrativa si sia attenuta al principio di «tassatività sostanziale», definendo un nucleo oramai consolidato di situazioni-tipo, sintomatiche ed indiziarie della sussistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa e in grado di sviluppare e completare il dettato legislativo (il riferimento è, tra l’altro, alle sentenze del giudice penale, anche di proscioglimento o di assoluzione, da cui pure emergano valutazioni del giudice competente su fatti che, pur non superando la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della contaminazione mafiosa; la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dallo stesso D.L.vo n. 159 del 2011; i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una ‘regia collettiva’ dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia ‘clanica’; i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia; le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa e nella sua gestione, incluse le situazioni in cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un ‘volto di legalità’ idoneo a stornare sospetti o elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa; la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi ‘benefici’; l’inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità). Occorre al riguardo una visione di insieme: gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente, dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata (Cons. Stato, sez. III, 6 maggio 2021, n. 3530; Cons. Stato, sez. III, 13 aprile 2018, n. 2231; Cons. Stato, sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343; Cons. Stato, sez. III, 30 marzo 2018, n. 2031; Cons. Stato, sez. III, 7 febbraio 2018, n. 820; Cons. Stato, sez. III, 20 dicembre 2017, n. 5978; Cons. Stato, sez. III, 12 settembre 2017, n. 4295; Cons. Stato, Ad. Plen., 6 aprile 2018, n. 3)”.


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I PRESUPPOSTI DELL’INTERDITTIVA ANTIMAFIA
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