A cura della Redazione

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione II Penale, Sentenza n. 2156 udienza del 17.11.2022 depositata il 19.01.2023

La Suprema Corte con la sentenza n. 2156 depositata il 19.01.2023, nell’accogliere il ricorso proposto da una società attiva nel settore dello smaltimento dei rifiuti, afferma l’equivalenza dei presupposti legittimanti il diniego della iscrizione nella white list con quelli dell’interdittiva antimafia, avendo i due istituti la stessa ratio e finalità di tutela dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica amministrazione.

Il caso sottoposto all’attenzione della Corte di legittimità ha origine da un ricorso presentato da una S.r.l. avverso il diniego alla richiesta di applicazione della misura del controllo giudiziario ex art. 34-bis, comma 6, d.lgs. n. 159/2011 emesso dalla Corte d’Appello in linea con il Tribunale di Milano.

La ricorrente eccepiva tre motivi di impugnazione. Con il primo motivo la ricorrente lamentava la mancanza di motivazione poiché nell’atto di appello era stato rappresentato come il diniego di iscrizione all’elenco dei fornitori prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa, operanti nei settori maggiormente esposti a rischio cd. white list, generi gli stessi effetti pregiudizievoli dell’interdittiva antimafia. Con il secondo motivo la ricorrente eccepiva la violazione e falsa applicazione dell’art. 34-bis CAM, osservando che la peculiarità dell’accertamento giudiziale relativo al controllo ex art. 34-bis deve individuarsi nella verifica dell’effettiva possibilità che la singola realtà aziendale abbia o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano vagliando adeguatamente le possibilità offerte dalla misura alternativa richiesta. Attraverso il terzo motivo eccepiva la violazione dell’art. 183, comma 1, lett. I), d.lgs. n. 152/2006 e dell’art. 452-quaterdecies c.p. Inoltre la società rappresentava il concreto rischio di perdere l’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali che avrebbe inevitabilmente portato alla liquidazione dell’azienda con conseguente perdita dei livelli occupazionali.

La Suprema Corte ha ritenuto fondato e ha accolto il ricorso (con rinvio alla stessa sezione della Corte di Appello in diversa composizione) rilevando come la nuova legislazione antimafia persegue, per finalità di pubblica sicurezza e di contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso, l’obiettivo di prevenire le infiltrazioni mafiose nelle attività economiche  non solo nei rapporti dei privati con le pubbliche amministrazioni, mediante lo strumento delle informazioni antimafia ex artt. 90-95 CAM, ma anche quello di inibire l’esercizio di attività economica anche tra privati, mediante lo strumento proprio delle comunicazioni antimafia ex artt. 87-89 CAM richieste per l’esercizio di qualsiasi attività soggetta ad autorizzazione, concessione, abilitazione, iscrizione ad albi, o anche alla segnalazione certificata di inizio attività (c.d. s.c.i.a.) e alla disciplina del silenzio assenso ex art. 89, comma 2, lett. a) e lett. b) CAM.

Prosegue la Corte precisando che l’istituto dell’interdittiva antimafia ha come ratio la salvaguardia  dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica amministrazione: nella sostanza, l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore, pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione,  meriti la fiducia della pubblica amministrazione e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni o degli altri titoli abilitativi previsti dalla legge. L’informativa antimafia è uno strumento generale riferibile a qualsiasi attività economica la cui adozione determina, in via cautelare, una incapacità ad avere rapporti contrattuali con la PA

In conclusione, per la Cassazione entrambi i provvedimenti si fondano sulla sussistenza di un pericolo di infiltrazione mafiosa o di condotte agevolative e hanno gli stessi effetti lesivi per l’impresa e pertanto va assicurata una parità di trattamento.

Per quanto concerne la “white list” la Suprema Corte ricorda che questa riguarda le imprese che operano in delicati settori delle opere pubbliche, più esposti alle mire della criminalità ed i presupposti che legittimano il diniego di iscrizione sono gli stessi che fanno scattare l’interdittiva antimafia e quindi si può affermare “una sostanziale equiparazione tra i due istituti, con la differenza che il primo  consegue ad un procedimento promosso dal privato, la seconda ad un procedimento attivato d’ufficio”. Pertanto va assicurata una parità di trattamento eliminando una irragionevole disparità.


Visualizza la Sentenza

IL DINIEGO DI ISCRIZIONE ALLA WHITE LIST DEVE ESSERE INTERPRETATO COME INTERDITTIVA ANTIMAFIA PER LA CONCESSIONE DEL CONTROLLO GIUDIZIARIO

Lascia un commento