A cura della Redazione
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione Lavoro, ordinanza n. 1600 del 02.12.2022 depositata il 19.01.2023
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 1600 depositata il 19.01.2023 rigetta il ricorso e conferma la sentenza impugnata del Tribunale di Roma con la quale era stata respinta la domanda proposta da una dipendente volta alla declaratoria dell’illegittimità dell’atto di risoluzione del rapporto emesso dagli amministratori giudiziali di una s.r.l. sottoposta a sequestro preventivo, ex art. 56 d.lgs. n. 159 del 2011. La Corte afferma che, in caso di amministrazione giudiziaria di impresa soggetta a misura preventiva, il rapporto di lavoro non può proseguire di diritto con l’amministrazione, ma solo a seguito di apposito provvedimento autorizzativo del Giudice Delegato.
La ricorrente lamentava violazione e falsa applicazione degli artt. 40, comma 4, e 56 d.lgs. n. 159 del 2011, 1321, 1325 e 1326 c.c., 3 l. n. 604 del 1966, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., nonché nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. in quanto il giudice del gravame non ha riconosciuto che, in realtà, il subentro in questione vi era effettivamente stato, sia pur per fatti concludenti, con conseguente applicabilità, all’atto di risoluzione del rapporto, della normativa sui licenziamenti in punto di giusta causa o giustificato motivo, non costituendo requisito di validità del negozio unilaterale l’autorizzazione giudiziale ai sensi del citato art. 56 d.lgs. n. 159. Inoltre, denunciava violazione e falsa applicazione degli artt. 40, 41 e 56 d.lgs. n. 159 del 2011, 12 delle disposizioni sulla legge in generale e 3 della l. n. 604 del 1966, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c, lamentando che il predetto giudicante abbia ritenuto – in violazione dei canoni ermeneutici di legge e del dovere di procedere ad una interpretazione costituzionalmente orientata – che il citato art. 56 preveda un recesso senza giustificato motivo, omettendo, tra l’altro, di considerare che il richiamato art. 41, nel prevedere, al comma quarto che “I rapporti giuridici connessi all’amministrazione dell’azienda sono regolati dalle norme del codice civile, ove non espressamente altrimenti disposto”, deve ritenersi esteso alla disciplina generale che regola i rapporti di lavoro, non
rilevando, peraltro, una esigenza di ordine pubblico, in quanto non specificata nell’impianto normativo e comunque “recessiva rispetto alla evidente necessità di tutela del diritto al lavoro della lavoratrice (e di tutti i lavoratori) in alcun modo interessati dal processo penale”. Infine, denunciava violazione o falsa applicazione degli artt. 1, 4, 24, 27, 35, 41, 76 e 117 Cost., nonché l’illegittimità costituzionale degli artt. 35 e 56 d.lgs. n. 159 del 2011, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
La Suprema Corte ha ribadito il principio in base al quale, in presenza dell’art. 56 d.lgs. n. 159/2011, gli amministratori giudiziari di un’impresa sottoposta a misura preventiva hanno l’obbligo di prendere posizione sul subingresso di un rapporto di lavoro solo in base ad un provvedimento del G.D., senza il quale non potrebbero esprimere alcun valido consenso alla prosecuzione del rapporto nemmeno per fatti concludenti.
Tale principio – aggiunge la Corte – è “in linea con il contenuto della disposizione normativa nonché con l’istituto della nullità cd. ‘virtuale’, governata dall’art. 1418, primo comma, c.c., avendo la predetta disposizione natura di norma imperativa, stante la rilevanza degli interessi pubblici che l’impianto normativo in materia di antimafia e misure di prevenzione intende salvaguardare, anche mediante la previsione dell’autorizzazione giudiziale quale presupposto necessario e, pertanto, condizionante il compimento delle varie iniziative, quanto ai rapporti pendenti, da parte dell’amministrazione giudiziale”.