A cura di Rossella Ceccarini
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione lavoro, ordinanza n. 9148 del 24 gennaio 2023 pubblicata il 31 marzo 2023
La Suprema Corte di Cassazione, Sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9148 pubblicata il 31.03.2023, nel respingere il ricorso ha espresso il seguente principio: “La normativa di tutela del dipendente che segnali illeciti altrui (c.d. whistleblowing) salvaguardia il medesimo dalle sanzioni che potrebbero conseguire a suo carico secondo le norme disciplinari o da reazioni ritorsive dirette ed indirette conseguenti alla sua denuncia, ma non istituisce un’esimente per gli autonomi illeciti che egli, da solo o in concorso con altri responsabili, abbia commesso, potendosi al più valutare il ravvedimento operoso o la collaborazione al fine di consentire gli opportuni accertamenti nel contesto dell’apprezzamento, sotto il profilo soggettivo, della proporzionalità della sanzione da irrogarsi nei confronti del medesimo”.
Il caso al vaglio della Suprema Corte riguardava un ricorso proposto da un’infermiera sanzionata con la sospensione di 4 mesi dal servizio per avere svolto attività non autorizzata presso un ente privato. La ricorrente lamentava, con un unico motivo di ricorso, la violazione ed erronea applicazione dell’art. 54-bis d.lgs. n. 165/2001 rimarcando l’ampia copertura della protezione assicurata dalla norma all’affidamento di chi denunci illeciti su una protezione effettiva ed efficace che eviti conseguenze alla propria partecipazione alla tutela dell’interesse e dell’integrità della Pubblica Amministrazione, funzionale all’emersione dei fenomeni di corruzione e mala gestio. Unica eccezione quella di calunnia o diffamazione, in maniera tale che solo il dolo o la colpa grave nel rendere le informazioni avrebbe come effetto il venire meno della protezione.
La Suprema Corte nel respingere il ricorso ha sottolineato come le misure contro le ritorsioni a carico del whistleblower hanno come obiettivo di impedire l’applicazione al dipendente di sanzioni disciplinari che inibiscano l’effettuazione di segnalazioni. Nella motivazione del provvedimento la Cassazione afferma che: “L’applicazione al dipendente di una sanzione per comportamenti suoi propri resta dunque al di fuori della copertura fornita dalla norma, che non esime da responsabilità chi commetta un illecito disciplinare per il solo fatto di denunciare la commissione del medesimo fatto o di fatti analoghi ad opera di altri dipendenti”. Anche la Convenzione Onu del 31 ottobre 2003 con la risoluzione n. 58/4, ratificata e resa esecutiva in Italia con l. n. 116/2009, all’art. 33 prevede che gli Stati adottino misure appropriate per proteggere chi segnali illeciti da qualsiasi trattamento ingiustificato, non potendo esservi evidentemente compresi autonomi illeciti che nulla hanno a che vedere con le segnalazioni. Nella stessa direzione va la direttiva dell’Unione europea 2019/1937, finalizzata a evitare conseguenze negative per chi effettua segnalazioni di illeciti.
Conclude la Corte che nulla vieta all’ordinamento di riconoscere eventuali attenuanti oppure, quando possibile, di valorizzare il “pentimento”, sotto il profilo della valutazione di proporzionalità, in un contesto comunque di ravvedimento, ma lo Stato non è tenuto a riconoscere un’esimente rispetto a tali autonomi illeciti.