A cura di Rossella Ceccarini
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III Penale, sentenza n. 14584 del 02.03.2023 depositata il 06.04.2023
La Terza Sezione della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 14584 del 2 marzo 2023, depositata il 6 aprile 2023, ha ribadito il principio per cui l’art. 545 c.p.c. costituisce espressione di una regola generale che deve trovare applicazione anche con riferimento all’esecuzione derivante dal sequestro preventivo, in ragione della sua diretta discendenza da principi di ordine costituzionale, più volte correttamente posta in evidenza dalla stessa Corte di Cassazione nonché dalla Corte Costituzionale.
La vicenda sottoposta al vaglio della Suprema Corte riguarda un’ordinanza del Tribunale del riesame di Monza di rigetto di un’istanza di dissequestro del GIP del medesimo Tribunale. Veniva quindi promosso ricorso per cassazione ove il ricorrente lamentava vizio di violazione dell’art. 545 c.p.c. richiamato dall’art. 104 disp. att. c.p.p. e vizio di mancanza e contraddittorietà della motivazione.
Nella motivazione resa dalla Suprema Corte si legge che sussiste la necessità di una lettura costituzionalmente orientata delle norme in materia di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, volta ad assicurare l’operatività, anche in tali casi, dei medesimi limiti di sequestrabilità e pignorabilità di cui all’art. 545 cit., sebbene (a differenza dell’art. 316 c.p.p. in tema di sequestro conservativo) non richiamati espressamente (Cass. pen., sez. I, 23 settembre 2009, n. 41905), in quanto idonei a garantire al lavoratore un minimo vitale per le sue esigenze primarie (Cass. pen., sez. III, 7 dicembre 2018, n. 17386). In un tale contesto, non osta il mero mancato richiamo, nella disposizione dell’art. 321 c.p.p., ai “limiti” entro i quali la legge consente il pignoramento dei beni, testualmente presente, invece, nel comma 1 dell’art. 316 c.p.p. in tema di sequestro conservativo e valorizzato ai fini della propugnata impermeabilità del sequestro preventivo per equivalente alle disposizioni dell’art. 545 c.p.c. Tanto più in quanto un tale mancato richiamo appare invece del tutto spiegabile, ove si abbia riguardo all’art. 104 disp. att. c.p.p. che, nel regolare l’esecuzione del sequestro preventivo, dispone che la stessa abbia luogo, con riferimento ai beni mobili e ai crediti, nelle “forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo in quanto applicabili”. Neppure il Tribunale ha tenuto conto, conseguentemente, della correlata necessaria esclusione che la confusione delle somme, corrisposte a titolo di emolumenti retributivi o pensionistici, con il restante patrimonio immobiliare, possa avere una valenza ostativa all’applicazione dei limiti. Sul punto occorre ricordare che le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno precisato che l’interpretazione della norma processual civilistica ex art. 545 c.p.c., per cui essa non sarebbe operante laddove le somme di denaro, accreditate sul conto corrente, finiscano per perdere la loro identità perché confuse nel patrimonio del lavoratore o pensionato, appare dissonante rispetto al complessivo assetto normativo dell’art. 545 c.p.c., come definito all’esito della entrata in vigore della l. 6 agosto 2015, n.132, di conversione del d.l. 27 giugno 2015, n. 83, che ha inserito, nella norma, il comma ottavo, specificamente dedicato proprio alle somme accreditate sul conto corrente bancario o postale intestato al lavoratore. Nel precedente regime si era, infatti, affermato che le somme accreditate fossero sottoposte all’ordinario regime dei beni fungibili secondo le regole del contratto di deposito irregolare ex art. 1782 c.c., in virtù del quale le somme versate perdono appunto la loro identità di crediti lavorativi o pensionistici, sì da farne derivare, anche a fronte del principio generale della responsabilità patrimoniale del debitore di cui all’art. 2740 c.c., l’inapplicabilità dei limiti di pignorabilità dipendenti dal titolo degli accrediti (si veda, tra le altre, Cass. civ., sez. lav., 17 ottobre 2018, n. 26042). E tale indiscriminata pignorabilità delle somme accreditate sul conto corrente a titolo di emolumenti retributivi o di trattamenti pensionistici era stata successivamente oggetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 85 del 2015, fondamentalmente risoltasi, pur a fronte di una formale pronuncia di inammissibilità, in una sollecitazione al legislatore ad intervenire a tutela delle esigenze di vita del debitore esecutato. Di qui, dunque, la successiva introduzione, nell’art. 545 cit., del comma 8, che superando, con riferimento a tali specifici crediti qualificati, il principio di “confusione” conseguente all’accredito in conto corrente bancario o postale delle somme corrisposte dal datore di lavoro o dall’istituto previdenziale, ha previsto un regime di parziale impignorabilità, differenziato proprio in base al momento dell’accredito: se anteriore al pignoramento, dette somme possono essere pignorate solo per l’importo eccedente il triplo della pensione sociale; se, invece, l’accredito avvenga alla data del pignoramento o in data successiva, dette somme possono essere pignorate entro i limiti previsti dai commi 3, 4, 5 e 7, nonché dalle speciali disposizioni di legge. Anche in tal caso, le somme eccedenti detti limiti sono considerate nella piena disponibilità del debitore e, dunque, pignorabili. Ne consegue, dunque, che è la stessa regolazione normativa a considerare, dal 2015, non dirimente, ai fini dell’applicabilità dei limiti di pignorabilità, il momento dell’accredito delle somme, idoneo invece solo a differenziare l’entità delle predette limitazioni. Va altresì sottolineato che all’operatività dell’art. 545 cit. si accompagna, sul piano probatorio, la necessità che risulti attestata la causale dei versamenti, ovvero, in altri termini, sia certo che le somme interessate siano riconducibili ad emolumenti corrisposti nell’ambito del rapporto di lavoro o pensionistico (cfr. in motivazione Cass. pen., sez. un., 24 febbraio 2022, n. 26252).