A cura di Rossella Ceccarini
CORTE DI CASSAZIONE, Sezioni Unite Penali, sentenza n. 14840 del 27.10.2022, depositata il 06.04.2023
Le Sezioni Unite Penali della Suprema Corte, con sentenza n. 14840 del 27 ottobre 2022, depositata il 6 aprile 2023, hanno enunciato il seguente principio di diritto: “l’istituto dell’ammissione alla prova di cui all’art. 168-bis c.p., non trova applicazione con riferimento alla disciplina della responsabilità degli enti di cui al D.L.vo n. 231 del 2001”.
Le questioni di diritto rimesse alle Sezioni Unite con ordinanza n. 15493 del 23.03.2022 dalla Quarta Sezione Penale della Cassazione possono essere così riassunte: “Se il procuratore generale sia legittimato ad impugnare, con ricorso per cassazione, l’ordinanza che ammette l’imputato alla prova (art. 464-bis cod. proc. pen.) e in caso affermativo per quali motivi” e “se il procuratore generale sia legittimato ad impugnare, con ricorso per cassazione, la sentenza di estinzione del reato pronunciata ai sensi dell’art. 464-septies cod. proc. pen”.
La Suprema Corte – Sezioni Unite – con la sentenza n. 14840/2023 ha affermato che “Il procuratore generale è legittimato ad impugnare con ricorso per cassazione, per i motivi di cui all’art. 606 c.p.p., l’ordinanza di ammissione alla prova di cui all’art. 464-bis c.p., ritualmente comunicatagli, mentre in caso di omessa comunicazione della stessa, è legittimato ad impugnare quest’ultima insieme alla sentenza di estinzione del reato”. A tale affermazione consegue l’ammissibilità del ricorso immediato per cassazione del Procuratore Generale della Corte di Appello di Trento che comporta la necessità della soluzione della questione sulla quale è incentrato il ricorso in esame alle Sezioni Unite ossia la possibilità per l’ente di essere ammesso alla prova, ai sensi dell’art. 168-bis c.p., nell’ambito del processo instaurato a suo carico per l’accertamento della responsabilità amministrativa dipendente da reato ex d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.
Secondo la Suprema Corte le norme relative alla messa alla prova non contengono alcun riferimento agli “enti” quali possibili soggetti destinatari di esse e neppure le norme del d.lgs. n. 231/2001, sebbene introdotte antecedentemente a quelle disciplinanti l’istituto della messa alla prova per gli imputati maggiorenni, contengono agganci o richiami deponenti per l’immediata applicabilità dell’istituto di più recente introduzione agli enti. Gli artt. 34 e 35 d.lgs. n. 231/2001, infatti, nel dettare le disposizioni generali sul procedimento di accertamento e di applicazione delle sanzioni amministrative dipendenti da reato, oltre a prevedere l’osservanza delle norme specificamente dettate dal decreto, contengono un richiamo esclusivamente alle disposizioni del codice di procedura penale e alle disposizioni processuali relative all’imputato, in quanto compatibili. L’applicazione “estensiva” ovvero “analogica” dell’istituto della messa alla prova agli enti – in mancanza di norme di richiamo o di collegamento – ha fatto registrare nella giurisprudenza di merito decisioni contrastanti, contrapponendosi ad un gruppo di ordinanze negative all’ammissione dell’ente alla prova (cfr. ad es. Trib. Milano, 27.03.2017; Trib. Bologna, 10.12.2020; Trib. Spoleto, 21.04.2021) altre pronunce, invece, favorevoli (Trib. Modena, 19.10.2020; Trib. Bari, 22.06.2022).
Le Sezioni Unite ritengono di privilegiare l’interpretazione secondo cui l’istituto della messa alla prova, di cui all’art. 168-bis c.p., non può essere applicato agli enti in relazione alla responsabilità amministrativa dipendente da reato, di cui al d.lgs. n. 231/2001. Se la responsabilità amministrativa dell’ente deve ritenersi concettualmente inquadrabile in un tertium genus, alla stregua dei principi condivisibilmente sanciti dalla sentenza Espenhahn, la messa alla prova ex art. 168-bis c.p. deve, invece, inquadrarsi nell’ambito di un “trattamento sanzionatorio” penale. L’istituto della messa alla prova dei maggiorenni, ispirato all’analogo istituto previsto per i minori ex artt. 28 e 29 d.P.R. n. 448 del 22 settembre 1988, introdotto dalla l. 28 aprile 2014, n. 67, è volto alla risocializzazione del reo, assicurando in relazione alla finalità special preventiva un percorso che tiene conto della natura del reato, della personalità del soggetto e delle prescrizioni imposte, così da consentire la formulazione di un favorevole giudizio prognostico. Il procedimento in questione dà luogo ad una fase incidentale in cui si svolge un vero e proprio “esperimento trattamentale”, sulla base di una prognosi di astensione dell’imputato dalla commissione di futuri reati, che, in caso di esito positivo, determina l’estinzione del reato. La natura sostanziale, oltre che processuale, e “sanzionatoria” dell’istituto della messa alla prova è stata più volte affermata, sia dalla giurisprudenza costituzionale che da quella di legittimità. II carattere innovativo della messa alla prova «segna un ribaltamento dei tradizionali sistemi di intervento sanzionatorio» e, proprio sulla base dei principi della sentenza Sorcinelli delle Sezioni Unite, n. 36272 del 2016, deve essere riconosciuta, soprattutto, la natura sostanziale dell’istituto, poiché l’esito positivo della prova conduce ad una sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato. II trattamento programmato – pur sanzionatorio – non è una pena eseguibile coattivamente, ma dà luogo a un’attività rimessa alla spontanea osservanza delle prescrizioni da parte dell’imputato, il quale liberamente può farla cessare con l’unica conseguenza che il processo sospeso riprende il suo corso. In questa struttura procedimentale tuttavia non manca, in via incidentale e allo stato degli atti (perché l’accertamento definitivo è rimesso all’eventuale prosieguo del giudizio, nel caso di esito negativo della prova), una considerazione della responsabilità dell’imputato. Infatti, il giudice, in base all’art. 464-quater, comma 1, c.p.p., deve verificare che non ricorrano le condizioni per «pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129» c.p.p., e anche a tale scopo può esaminare gli atti del fascicolo del pubblico ministero, deve valutare la richiesta dell’imputato, eventualmente disponendone la comparizione (art. 464-quater, comma 2, c.p.p.), e, se lo ritiene necessario, può anche acquisire ulteriori informazioni, in applicazione dell’art. 464-bis, comma 5, c.p.p. Se, dunque, la responsabilità amministrativa da reato riguardante gli enti rientra in un genus diverso da quello penale (tertium genus) e la messa alla prova deve ricondursi ad un “trattamento sanzionatorio” penale, sulla base degli indici elencati, deve ritenersi, in conformità alle conclusioni rassegnate dal Procuratore Generale nel caso esaminato, che l’istituto della messa alla prova non può essere applicato agli enti, a ciò ostando, innanzitutto, il principio della riserva di legge di cui all’art. 25, comma 2, Cost. L’introduzione attraverso provvedimenti giurisdizionali di un “trattamento sanzionatorio” – quello della messa alla prova – ad una categoria di soggetti – gli enti – non espressamente contemplati dalla legge quali destinatari di esso, in relazione a categorie di illeciti non espressamente previsti dalla legge penale, si pone in contrasto con il principio di legalità della pena, del quale la riserva di legge costituisce corollario, che si traduce nel principio, secondo cui «nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso». Non possono soccorrere, al fine di ritenere applicabile agli enti l’istituto della messa alla prova, né l’analogia in bonam partem, né tantomeno l’interpretazione estensiva, come invece sostenuto nelle pronunce di merito favorevoli all’applicazione agli enti della messa alla prova.