A cura di Rossella Ceccarini

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III Penale, sentenza n. 16576 del 01.03.2023 depositata il 19.04.2023

La Terza Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 16576 del 01 marzo 2023 depositata il 19 aprile 2023 ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata dal titolare di una ditta individuale, imputato per frode fiscale, nei confronti del quale era stata disposta la confisca diretta della somma di denaro rinvenuta sul suo conto corrente stabilendo che nei reati tributari la confisca è diretta e non per equivalente anche se l’ablazione del denaro presente sul conto corrente della società si riferisce a poste attive versate dopo la commissione del reato da parte del suo rappresentante legale.

La Corte di Cassazione si è pronunciata su un ricorso avverso una sentenza emessa dalla Corte di Appello di Torino dove l’imputato ricorrente denunciava: 1) violazione di legge, in relazione all’art. 8 d.lgs. n. 74/2000, e vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p.; 2) violazione di legge in riferimento agli artt. 2 e 157 c.p. e 17, comma 1-bis, d.lgs. n. 74/2000 nonché vizio di motivazione a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p.; 3) erronea applicazione della legge penale con riguardo alla mancata revoca da parte della Corte d’Appello della confisca per equivalente per i reati tributari a lui ascritti dichiarati estinti per prescrizione.

La Corte, con riferimento alle censure concernenti la diversa definizione giuridica della misura ablatoria da parte della sentenza impugnata, ha ribadito l’insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità in forza del quale il giudice d’appello può sempre riqualificare la misura, anche d’ufficio, da confisca per equivalente in confisca diretta, qualora ne sussistano i presupposti. Gli Ermellini hanno ritenuto corretto che la sentenza impugnata avesse concluso affermando la sussistenza dei presupposti per qualificare la confisca in esame come confisca diretta, anche avuto riguardo ai reati per i quali era stata dichiarata l’estinzione per prescrizione in appello, dopo la condanna in primo grado. Infatti, secondo la Corte costituisce principio consolidato quello secondo cui il giudice dell’impugnazione può confermare un provvedimento di confisca del profitto del reato, anche quando questo, dopo la pronuncia di condanna in primo grado, deve essere dichiarato estinto per prescrizione, quando per la predetta fattispecie è prevista la confisca obbligatoria del pertinente prezzo o profitto. È la stessa giurisprudenza (così Sez. Unite n. 42415 del 27.05.2021, la quale ha confermato le enunciazioni, in particolare, di Sez. Unite n. 31617 del 26.06.2015) ad aver evidenziato che la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell’autore della condotta, e che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene. Di conseguenza, non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione.

Il principio ha trovato applicazione anche in relazione ai reati tributari di cui al d.lgs. n. 74/2000, rispetto ai quali la Corte di legittimità ha affermato che la confisca ex art. 12-bis del medesimo decreto, avente ad oggetto le somme di denaro affluite sul conto corrente intestato alla persona giuridica, anche successivamente alla commissione del reato da parte del suo legale rappresentante, ha natura di confisca diretta: le somme, infatti, costituiscono comunque profitto del reato e il risparmio di spesa conseguente all’omesso versamento delle imposte si risolve in un mero vantaggio per il suo autore.

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NEI REATI TRIBUTARI LA CONFISCA DEL DENARO RINVENUTO SUL CONTO CORRENTE E’ DA RITENERSI “DIRETTA” ANCHE QUANDO SIA POSSIBILE DIMOSTRARE LA PROVENIENZA LECITA DI QUANTO OGGETTO DI ABLAZIONE

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