A cura di Rossella Ceccarini
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III Penale, sentenza n. 19595 del 29.03.2023, depositata il 10.05.2023.
La Terza Sezione penale della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 19595 depositata il 10.05.2023 ha stabilito che l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti che dissimulano un’attività illecita di somministrazione di manodopera, mascherata dalla conclusione di fittizi contratti di appalto di servizi, ex art. 29 d.lgs. n. 276/2003, integra un’operazione soggettivamente inesistente stante il carattere dissimulato del contratto, integrando quella divergenza tra realtà fenomenica e realtà meramente giuridica dell’operazione che, secondo la giurisprudenza consolidata, integra l’inesistenza di cui all’art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che, quanto al versante dell’IVA, il contratto fittiziamente interposto apre la strada al recupero indebito dell’imposta stessa, mentre con riguardo all’imposta sui redditi, l’utilizzo della fattura che dissimula una diversa prestazione apre la strada alla detrazione di costi anch’essi fittizi perché non correlati alla prestazione reale essendo funzionale ad abbattere indebitamente il reddito di esercizio mediante imputazione del costo dei servizi, rappresentato dal costo del lavoro che altrimenti le società non avrebbero potuto detrarre. La fittizietà dell’oggetto, consentendo la deduzione di costi altrimenti non deducibili, comporta la rilevanza del reato anche ai fini delle imposte dirette.
La vicenda trae origini dalla conferma da parte della Corte d’Appello di Milano di una sentenza emessa dal Tribunale di Monza con cui il legale rappresentante di una società era condannato nei due gradi di giudizio per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti. Ricorreva in Cassazione l’imputato lamentando l’inosservanza o l’errata applicazione della norma di cui all’art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., in relazione all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000 e agli artt. 133 e 163 c.p. e 12 d.lgs. n. 74/2000 perché era stato considerato integrato il delitto ai fini delle imposte dirette a fronte di fatture solo soggettivamente inesistenti.
La Suprema Corte di Cassazione, nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso in quanto manifestamente infondato, ha innanzitutto rilevato che le operazioni soggettivamente inesistenti oggetto di contestazione si riferivano ad un contratto di appalto volto a celare un’illecita intermediazione illegale di manodopera. In tale ipotesi (utilizzo di fatture per operazioni inesistenti che dissimulano un’attività di somministrazione di manodopera, mascherata dalla conclusione di fittizi contratti di appalto) è integrata un’operazione soggettivamente inesistente perché sussiste una divergenza tra realtà fenomenica e realtà meramente giuridica dell’operazione. Secondo la Corte, ai fini delle imposte sui redditi, l’utilizzo della fattura che dissimula una diversa prestazione consente la deduzione di costi fittizi perché non correlati alla prestazione reale essendo funzionale ad abbattere indebitamente il risultato dell’esercizio. La simulazione dell’oggetto contrattuale consente l’imputazione di costi di servizi (appalto) che la società altrimenti non avrebbe potuto dedurre (illecita somministrazione di manodopera). In conclusione, l’art. 2 d.lgs. n. 74/2000 non distingue tra inesistenza oggettiva o soggettiva, poiché l’oggetto della sanzione è ogni divergenza tra realtà commerciale e sua espressione documentale. Pertanto, le fatture formalmente riferite a un contratto di appalto di servizi che occulti di fatto una somministrazione irregolare di manodopera costituisce un negozio giuridico apparente diverso da quello intercorso. Tale circostanza comporta significative conseguenze fiscali in quanto l’esposizione nella dichiarazione di dati fittizi anche solo soggettivamente implica la creazione delle premesse per un rimborso al quale non si ha diritto.