A cura di Rossella Ceccarini
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione V Penale, sentenza n. 21640 del 2 marzo 2023 depositata il 19 maggio 2023
La Quinta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21640 del 2 marzo 2023, depositata il 19 maggio 2023, ha annullato senza rinvio la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Genova chiarendo che “in tema di responsabilità degli enti in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b) D.L.vo n. 231 del 2001, deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato (Cass. pen., sez. VI, 25 gennaio 2013, n. 21192; Cass. pen., sez. IV, 18 aprile 2018, n. 22468; vedi anche Cass. pen., sez. IV, 23 maggio 2018, n. 38363)”.
Il caso sottoposto al vaglio degli Ermellini riguarda la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Genova che, in riforma della sentenza assolutoria emessa dal Tribunale di Massa, ha condannato (…) in relazione ai reati di contraffazione di alcuni prodotti e di commercializzazione sistematica dei medesimi prodotti contraffatti (attraverso la società di cui era amministratore unico). La sentenza di appello ha anche dichiarato, ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, la responsabilità amministrativa della società (…), applicando all’ente la sanzione amministrativa pecuniaria pari a 200 quote del valore di euro 300 ciascuna, nonché la sanzione interdittiva prevista dagli artt. 5, 25-bis e 9, comma 1, n. 2, dello stesso decreto legislativo per la durata di mesi sei, ordinando la pubblicazione della sentenza per estratto, ai sensi dell’art. 18 d.lgs. n. 231/2001. Avverso tale sentenza hanno ricorso per cassazione sia l’imputato che l’ente con due ricorsi separati.
La Suprema Corte ha ritenuto fondate le ragioni di ricorso proposte dall’ente, la società (…), coinvolto nel processo sulla base della prospettazione di un vantaggio derivato all’ente stesso dalla commissione del reato. La responsabilità dell’ente sussiste, infatti, anche quando il reato “presupposto” si estingue per una causa diversa dall’amnistia (così, espressamente, l’art. 8, comma 1, lett. b, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231). Si tratta di una delle ipotesi, espressamente contemplate dalla legge, in cui l’inscindibilità tra le vicende processuali delle persone fisiche e quelle dell’ente può venire meno, con la conseguenza che l’accertamento della responsabilità amministrativa della società nel cui interesse o per il cui vantaggio il reato è stato commesso può e deve proseguire attraverso un percorso processuale autonomo, nella sede propria del processo penale voluta dal legislatore della “legge 231”, pur non potendosi prescindere però da una verifica quanto meno incidentale circa la sussistenza del fatto di reato. In situazioni del genere, dunque, il potere cognitivo del giudice penale resta immutato, dovendo egli comunque procedere all’accertamento della sussistenza del reato cd. presupposto. In altre parole, per il principio di autonomia della responsabilità dell’ente (art. 8 cit.), la prescrizione del reato presupposto nei confronti della persona fisica autrice, anche se dichiarata nello stesso processo in cui è imputato l’ente, non fa venir meno la sussistenza della sua eventuale responsabilità (ed è irrilevante che vi sia stata anche una pronuncia ex art. 578 c.p.p. nei confronti della persona fisica. Il differente regime di prescrizione previsto normativamente per l’ente-imputato è stato ritenuto compatibile con i principi costituzionali da Cass. pen., sez. VI, 10 novembre 2015, n. 28299).