A cura di Rossella Ceccarini
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I Penale, sentenza n. 34575 del 18.04.2023 depositata il 08.08.2023
La Prima Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 34575 emessa il 18.04.2023 e pubblicata l’08.08.2023, nell’annullare con rinvio l’ordinanza impugnata, è intervenuta in tema di tutela delle ragioni dei terzi in caso di confisca definitiva del bene stabilendo che ai fini del corretto inquadramento della questione giova premettere che il titolo IV del Codice antimafia – all’interno del procedimento volto, a seguito dell’apprensione dei beni in cui si trasfonde la pericolosità sociale del proposto – è specificamente finalizzato all’acquisizione di tali beni, mediante la confisca definitiva “al patrimonio dello Stato liberi da oneri e pesi” (così il testo del primo periodo del comma 1 dell’art. 45 cod. antimafia). Tale insieme di norme è funzionale, quindi, all’accertamento e all’immediata realizzazione dei diritti che eventualmente i terzi possano vantare, pur se non direttamente sui beni stessi, comunque nei confronti del proposto, sul presupposto della loro appartenenza al suo patrimonio. Secondo la Suprema Corte la tutela delle ragioni dei terzi si sostanzia, allora, nell’accordare rilevanza a posizioni soggettive propriamente privatistiche, poste a raffronto con l’interesse pubblico invece sotteso all’espropriazione – ai fini del ripristino della condizione di legalità e quindi, in concreto, in vista del recupero alla disponibilità della collettività – di beni che sono connotati dalla medesima forma di pericolosità sociale, che viene rimproverata al proposto (c.d. pericolosità reale). In altri termini l’ordinamento, a mezzo delle norme inserite nel titolo IV del Codice antimafia, si prende cura degli interessi dei privati – in maniera addirittura prioritaria, rispetto all’interesse pubblico – apparendo meritevole di tutela, sotto il profilo intrinseco, il valore rappresentato dalla possibilità di riporre uno stabile affidamento nella stabilità dei rapporti giuridici. Una forma di affidamento che assurge, quindi, immediatamente al rango di interesse pubblico, paritariamente concorrente con quello sotteso al procedimento ablativo. La giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenze n. 94 dell’11 febbraio 2015 e n. 26 del 27 febbraio 2019) offre conferma di come il titolo IV del Codice antimafia – frutto dell’innovativa scelta del Legislatore di estendere la tutela a tutti i creditori del proposto – rappresenti il frutto di un ponderato bilanciamento, operato direttamente dal dettato normativo, tra i due contrapposti interessi (dei creditori da una parte, dello Stato dall’altra). Tale bilanciamento è di per sé idoneo, attraverso la “verifica dei crediti” (ex art. 59 d.lgs. n. 159/2011), che rappresenta il proprium della procedura di accertamento di cui al capo II, ad impedire “manovre collusive” tra alcun (apparente) creditore (c.d. creditore di comodo) ed il proposto (apparente) debitore. Giova poi precisare – con riguardo all’aspetto della verifica di legittimità, inerente alle decisioni rese a norma dell’art. 59, comma 7, d.lgs. n. 159/2011 – che non vigono le ordinarie limitazioni previste per il ricorso in cassazione in materia di prevenzione, sancite dall’art. 10 dello stesso decreto (Cass. pen., sez. VI, 15 luglio 2020, n. 28350). Possono dunque essere dedotti anche vizi diversi, rispetto alla violazione di legge (si veda anche, sul punto, Cass. pen., sez. VI, 11 novembre 2022, n. 525, a mente della quale: «In tema di impugnazioni di misure di prevenzione patrimoniali, il ricorso per cassazione avverso il decreto che decide sulle opposizioni allo stato passivo e sulle impugnazioni dei crediti ammessi nel procedimento di accertamento dei diritti dei terzi può essere proposto, ex art. 59, comma 9, D.L.vo 6 settembre 2011, n. 159, per tutti i motivi di cui all’art. 606 c.p.p., non essendo, in tal caso, applicabili gli artt. 10 e 27, stesso decreto, che limitano i vizi deducibili alla sola violazione di legge)».