A cura di Rossella Ceccarini
CONSIGLIO DI STATO in sede giurisdizionale, Sezione III, sentenza n. 8771 del 21.09.2023 depositata il 09.10.2023
La Terza Sezione del Consiglio di Stato con sentenza n. 8771 del 21.09.2023 pubblicata il 09.10.2023 ha respinto l’appello e ha affermato che, in tema di interdittiva antimafia, risulta irrilevante che la governance della società non sia stata colpita dall’inchiesta penale, né che sia immune da precedenti penali: l’esperienza di decenni, sia in materia di misure di prevenzione (tra cui rientrano anche le informazioni antimafia) sia in materia giudiziaria, ha dimostrato che il primo strumento di elusione consiste, nel caso delle attività economiche, nel preporre alle medesime persone di fiducia incensurate; non a caso, infatti, l’art. 91, comma 5, d.lgs. n. 159/2011 prevede che il Prefetto “estende gli accertamenti pure ai soggetti che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte o gli indirizzi dell’impresa”.
Il caso sottoposto al vaglio del Consiglio di Stato riguardava una sentenza emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania – Sede di Napoli che aveva respinto il ricorso avverso un provvedimento di interdizione antimafia emesso dal Prefetto di Napoli. La società (…) proponeva appello fondato su un unico, articolato, motivo di impugnazione.
Secondo il Consiglio di Stato il ricorso deve essere respinto in quanto l’art. 91, comma 5, d.lgs. n. 159/2011 non limita l’ambito degli accertamenti al contesto familiare, poiché i medesimi accertamenti devono indirizzarsi a tutti “i soggetti che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte e gli indirizzi dell’impresa” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 10 maggio 2021, n. 3654; Cons. Stato, Sez. III, 10 aprile 2017, n. 1657). Ne consegue che si appalesa conforme alla legge correlare l’esistenza del rischio di infiltrazione mafiosa alla gestione “di fatto” della società, a prescindere, quindi, da ogni riferimento alla governance ufficiale della stessa. In tal caso, però, devono essere addotti seri elementi indiziari dai quali desumere, sulla base del principio del più probabile che non, che dietro agli amministratori, direttori tecnici e soci si nascondano altri soggetti, che di fatto si ingeriscono nella gestione della società, che per la loro contiguità con la criminalità organizzata (eventualmente anche servendosi di soggetti terzi o di cointeressenze con altre società) possono integrare il rischio di infiltrazione mafiosa. Trattandosi di gestione “di fatto” o di influenza “di fatto” o di affidamento fiduciario della società, la prova della circostanza deve essere desunta sulla base dei principi propri del diritto della prevenzione, e cioè in via presuntiva, attraverso l’analisi degli elementi fattuali acquisiti nell’istruttoria che, a loro volta, devono essere interpretati logicamente e ragionevolmente in modo unitario; l’insieme di tali elementi deve convergere, in base al principio della probabilità cruciale, su una soluzione che si appalesa essere la più ragionevole e logica rispetto a qualunque altra possibile. Non basta, infatti, la mera suggestione, ma occorrono elementi concreti e seri, che inducano a ritenere maggiormente credibile, sotto il profilo logico, la ricostruzione del complesso degli elementi accertati in sede istruttoria come indicativi, in base al principio del più probabile che non, dell’esistenza del rischio di permeabilità della società da parte della criminalità organizzata. Pertanto, dal punto di vista logico occorre verificare, da un lato, se i soggetti individuati dal Prefetto abbiano o meno tenuto una condotta comportante il rischio di condizionamento da parte del clan camorristico locale; dall’altro lato, devono ricorrere sufficienti elementi induttivi dai quali desumere la riconducibilità di tali condotte alla società interdetta, visto che si tratta di soggetti che non rivestono cariche sociali in via ufficiale.