A cura di Rossella Ceccarini

CONSIGLIO DI STATO, Sezione III, sentenza n. 9016 del 05.10.2023 depositata il 17.10.2023

Con sentenza n. 9016 depositata il 17 ottobre 2023, la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha affermato che i rapporti di parentela possono supportare la misura preventiva ma a condizione – come insegna la sentenza della Corte costituzionale n. 57 del 26 marzo 2020 – che assumano un’intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regìa “clanica”. Proprio con riferimento ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, l’Amministrazione può dare loro rilievo là dove tale rapporto, per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto con il proprio congiunto.

La questione sottoposta al Consiglio di Stato riguardava l’appello promosso dal Ministero dell’interno e dalla Prefettura di Roma avverso la sentenza della Sez. I ter del T.A.R. Lazio, che ha accolto il ricorso, proposto dalla (…) per l’annullamento dell’informativa interdittiva antimafia ex d.lgs. n. 159/2011 della Prefettura di Roma del 27 febbraio 2020, emessa nei confronti sia della società (…) che della (…). Alla base dell’interdittiva vi è il collegamento della società (…), detenuta nella misura del 50% del capitale sociale ciascuna dalle sorelle (…) con (…) fratello di (…), che a sua volta detiene il 99% delle quote sociali della società (…). Nel provvedimento interdittivo si dà atto che i fratelli (…) intrattengono rapporti perché hanno compartecipazioni in società (…), alcune delle quali hanno la stessa sede legale della (…).

Il Consiglio di Stato nella motivazione della sentenza ha affermato che, nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza; una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione (Cons. Stato, Sez. III, 29 maggio 2023, n. 5227). Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza – su un’area più o meno estesa – del controllo di una ‘famiglia’ e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti. Il rapporto parentale, infatti, connotato da particolare intensità, è sufficiente a “colorare” il dato familiare posto a fondamento del provvedimento interdittivo impugnato in primo grado con i tratti qualificanti che devono concorrere per legittimare l’estrapolazione dallo stesso della valenza indiziaria necessaria alla dimostrazione, pur di taglio probabilistico, del pericolo di condizionamento mafioso nelle scelte e negli indirizzi dell’impresa attenzionata. In conclusione, nella specie, correttamente il coacervo di elementi è stato ritenuto dal Prefetto sufficiente ad evidenziare il pericolo di contiguità con la mafia, con un giudizio connotato da ampia discrezionalità di apprezzamento, con conseguente sindacabilità in sede giurisdizionale delle conclusioni alle quali l’autorità perviene solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell’informativa antimafia rimane estraneo l’accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (Cons. Stato, n. 4724 del 2001). Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. Stato, n. 7260 del 2010).


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INTERDITTIVA ANTIMAFIA ED “INFLUENZA RECIPROCA” DI COMPORTAMENTI ALL’INTERNO DELLA FAMIGLIA