A cura di Rossella Ceccarini

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III Penale, sentenza n. 42236 del 14.09.2023 depositata il 17.10.2023

La Terza Sezione della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 42236 depositata il 17.10.2023, dichiarando inammissibile il ricorso di una “amministratrice di diritto”, ha stabilito che non vi è l’obbligo di fornire una particolare motivazione per riconoscere la responsabilità dell’amministratore di diritto di una società nella commissione di reati ambientali e prevenzionistici a carattere colposo.

Secondo la Corte vale il principio già affermato secondo cui risponde del reato contravvenzionale (nella specie, esercizio non autorizzato di intermediazione o interposizione di manodopera) l’amministratore di diritto della società qualora abbia omesso, sia pure per colpa, di esercitare il necessario controllo sull’attività dell’amministratore di fatto, attesa la natura anche colposa della fattispecie. La stessa Suprema Corte ha già precisato che un parametro di valutazione circa l’effettiva e concreta possibilità di impedire la consumazione del reato posto in essere dall’amministratore di fatto può essere offerto dalle disposizioni di cui all’art. 6 d.lgs. n. 231/2001, in tema di esclusione della responsabilità dell’ente per il reato commesso dall’amministratore e dalle persone sottoposte alla sua direzione e vigilanza (Sez. 3, n. 25313 del 10/12/2014 – dep. 17/06/2015, Rv. 263839 – 01).

Il caso sottoposto al vaglio degli Ermellini riguardava l’addebito alla ricorrente da parte dei giudici di merito delle responsabilità penali in relazione ai reati ambientali per il solo ruolo di amministratore di diritto, prestanome, senza individuare specifici elementi a sostegno della condivisione da parte della stessa delle finalità illecite e della consapevolezza, al momento di accettazione della carica, della strumentalizzazione di quella società alla realizzazione di specifici reati. I giudici avrebbero quindi dovuto descrivere la condotta della ricorrente, il suo apporto anche solo in termini di eventuale tolleranza nella gestione illecita posta in essere dal figlio coimputato nel procedimento penale quale amministratore di fatto.

La Suprema Corte ha affermato che la Corte territoriale, nel motivare le ragioni per le quali la ricorrente è stata riconosciuta colpevole quale amministratore di diritto della società S.R.L., a lei formalmente intestata, è stata lungi dall’ascrivere alla stessa una forma di responsabilità oggettiva. I giudici hanno affermato infatti che la stessa aveva assunto consapevolmente la carica di amministratore unico della predetta società, perfettamente conscia del fatto che sulla stessa gravavano una serie di obblighi, compresi quelli inerenti alla tutela dell’ambiente. Si trattava, hanno precisato i giudici di merito, di persona non certo sprovveduta, avendo esercitato il mestiere di commerciante, la quale, essendo consapevole che ogni attività imprenditoriale è regolata da norme, aveva aiutato il figlio nell’attività, parallela e simile, di raccolta dei rottami.

Inoltre, le imputazioni contestate riguardano tutte fattispecie punibili a titolo di colpa. Ed allora trova applicazione il principio secondo cui “risponde del reato contravvenzionale posto in essere dall’amministratore di fatto di una società anche l’amministratore di diritto della stessa qualora abbia omesso, sia pure per colpa, di esercitare il necessario controllo sull’attività del primo, attesa la natura anche colposa della fattispecie”. Anche in relazione alle imputazioni afferenti l’omessa segnalazione certificata di inizio attività per i due siti non autorizzati nonché l’omessa adozione di misure idonee a prevenire incendi e tutelare l’incolumità dei lavoratori, la Corte ha affermato che “valgono i medesimi argomenti” esposti a proposito delle contestazioni afferenti alla materia ambientale atteso che si verte, nel caso in esame, di responsabilità colposa. Deve, a tal proposito, essere ribadito che in tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità dell’amministratore della società, cui fa capo il rapporto di lavoro con il dipendente e la posizione di garanzia nei confronti dello stesso, non viene meno per il fatto che il menzionato ruolo sia meramente apparente, essendo invero configurabile, ai sensi del combinato disposto degli articoli 2 e 299 d.lgs. 8 aprile 2008, n. 81, la corresponsabilità del datore di lavoro e quella di colui che, pur se privo di tale investitura, ne eserciti, in concreto, i poteri giuridici.

Da ultimo, la Cassazione ha ricordato che i giudici territoriali hanno escluso l’applicabilità della speciale causa di non punibilità del fatto di particolare tenuità nei confronti della ricorrente, evidenziando come la stessa “aveva di fatto agevolato il figlio nell’attività illecita, non essendo del resto nemmeno incensurata avendo un precedente per violazione dell’art. 455, cod. pen. ed una recente condanna per la violazione della disciplina in materia di rifiuti”. Oltre a ciò, concludeva la Corte territoriale, “deve anche valorizzarsi il fatto che i due imputati, dunque anche la attuale ricorrente, hanno violato plurime norme poste a tutela di interessi diversi, ossia ambiente, tutela dei lavoratori, incolumità pubblica”.


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RESPONSABILITA’ DEL PRESTANOME PER I REATI AMBIENTALI E IN TEMA DI SICUREZZA SUL LAVORO

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