A cura di Rossella Ceccarini
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I Penale, sentenza n. 50729 del 20.10.2023 depositata il 19.12.2023
La Prima Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 50729 del 20 ottobre 2023 (depositata il 19 dicembre 2023), ha annullato senza rinvio un’ordinanza della Corte d’Appello di Reggio Calabria ricordando che la confisca di cui all’art. 19 d.lgs. n. 231/2001, quale sanzione dell’illecito amministrativo dipendente dal reato, è certamente assoggettata al regime di prescrizione delineato dall’art. 22 dello stesso decreto. La giurisprudenza della medesima Corte ha già precisato infatti che tale termine riguarda tanto l’illecito, che non può più essere perseguito decorsi cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, quanto la sanzione amministrativa definitivamente irrogata, che dovrà essere riscossa o altrimenti eseguita, a pena di estinzione, entro il termine di cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza pronunciata a carico della persona giuridica; fatti salvi, per la sanzione, gli effetti di eventuali cause interruttive rilevanti a norma del codice civile (Cass. pen., Sez. I, 5 maggio 2021, n. 31854).
La vicenda trae origine da una sentenza emessa dal Tribunale di Messina che:
– aveva accertato la responsabilità penale di (…) in ordine al reato di cui all’art. 640-bis c.p. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche), contestato al capo a) della rubrica;
– aveva dichiarato la società (…) s.r.l., di cui (…) era legale rappresentante pro-tempore, responsabile ex d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, dell’illecito amministrativo di cui al capo e), dipendente dal medesimo reato;
– aveva disposto la confisca, nei confronti dell’ente, ai sensi dell’art. 19 d.lgs. n. 231/2001, della somma di euro 430.505, equivalente all’entità del contributo illecitamente ricevuto.
Su gravame dell’imputato e della società, la Corte d’Appello di Messina, in parziale riforma della decisione di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti di (…), per essere il reato di cui al capo a) estinto per prescrizione, ed assolveva la società dall’illecito amministrativo di cui al capo e) per insussistenza del fatto. La Corte di Cassazione, adita dalla società rispetto ad altri capi della decisione di secondo grado, nonché dal Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Messina, con sentenza, accoglieva il ricorso della parte pubblica, annullando con rinvio la decisione impugnata, limitatamente all’illecito amministrativo di cui al capo e), con riferimento al reato contestato al legale rappresentante della società al capo a). La Corte d’Appello di Reggio Calabria, giudice del rinvio, con sentenza confermava, in ordine al capo e), la decisione di primo grado, confisca inclusa. La Cancelleria della Corte d’Appello di Reggio Calabria, investiva, d’ufficio, la Guardia di Finanza dell’esecuzione della confisca ai danni di (…) e venivano così confiscati il saldo attivo di un conto corrente bancario intestato alla società e un immobile di cui essa era proprietaria. Ricorreva (…) dinanzi alla medesima Corte d’Appello di Reggio Calabria, giudice dell’esecuzione, lamentando la non ritualità della procedura e la maturata prescrizione. La Corte d’Appello, disattese tali doglianze, disponeva, nel contraddittorio delle parti, la stima peritale dell’immobile. All’esito, pronunciava l’ordinanza con cui manteneva la confisca su uno dei lotti in cui quest’ultimo risultava divisibile (del valore stimato di 430.494,15 euro) e sull’importo liquido sino a concorrenza del credito erariale, disponendo la restituzione all’avente diritto dei beni e delle somme residue. Avverso l’ordinanza resa a definizione dell’incidente di esecuzione ricorreva per Cassazione la (…) s.r.l. lamentando violazione di legge sostanziale e processuale e vizio di motivazione.
La Cassazione, nelle proprie motivazioni, si è occupata della confisca disciplinata dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Secondo gli Ermellini tale confisca rappresenta una vera e propria sanzione principale, obbligatoria ed autonoma, quando venga disposta in danno di un ente, ritenuto responsabile di un illecito amministrativo dipendente da reato; in tal senso si è ripetutamente espressa la giurisprudenza della Corte (Cass. pen., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654). È lo stesso testo legislativo, del resto, che, all’art. 9, comma 1, lett. c), attribuisce alla confisca in parola natura sanzionatoria. Il d.lgs. n. 231/2001, dando attuazione alla Convenzione OCSE del 17 dicembre 1997, che all’art. 2 obbliga gli Stati aderenti ad assumere «le misure necessarie a stabilire la responsabilità delle persone morali», ha introdotto nel nostro ordinamento uno specifico e, per molti aspetti, innovativo sistema punitivo per gli enti collettivi, superando il tradizionale principio societas delinquere et puniri non potest; ne è derivata la individuazione di originali sanzioni interdittive, pecuniarie ed ablatorie, poste in stretta dipendenza funzionale dalla responsabilità accertata. Trattasi di un sistema sanzionatorio che fuoriesce dagli schemi tradizionali, incentrati sulla distinzione tra pene e misure di sicurezza, o tra pene principali e pene accessorie, e che mira a stabilire un diretto nesso di derivazione tra responsabilità e sanzione. Il rapporto funzionale in questione è ravvisabile, quindi, non solo per la confisca del prezzo e del profitto del reato, di cui all’art. 19, comma 1, d.lgs. n. 231/2001, ma anche per la confisca di valore, prevista dal successivo comma 2; come è stato efficacemente rilevato dalle Sezioni Unite «la confisca assume più semplicemente la fisionomia di uno strumento volto a ristabilire l’equilibrio economico alterato dal reato-presupposto, i cui effetti – appunto economici – sono comunque andati a vantaggio dell’ente collettivo, che finirebbe, in caso contrario, per conseguire un profitto geneticamente illecito». La qualificazione della confisca come sanzione principale è certamente una previsione giuridica innovativa, dal momento che nel nostro sistema penale la confisca è catalogata, come regola generale, tra le misure di sicurezza patrimoniali (art. 240 c.p.), fondate sulla pericolosità derivante dalla disponibilità di cose servite o destinate a commettere il reato, ovvero che ne sono il prodotto, il profitto, il prezzo (o sono intrinsecamente criminose), e finalizzate a prevenire la commissione di reati ulteriori. Successivamente, sono state introdotte nell’ordinamento ipotesi di confisca penale obbligatoria dei beni strumentali alla consumazione del reato e del profitto ricavato; e, sempre con l’obiettivo di impedire che l’autore del reato potesse godere del profitto di esso, sono state legislativamente disciplinate numerose ipotesi di confisca c.d. per equivalente, nei casi in cui non fosse possibile aggredire direttamente il profitto stesso. Non vi è dubbio quindi, per l’espressione letterale usata dal legislatore, e per la descritta funzione sanzionatoria e special preventiva che ad essa è demandata, che la confisca regolata dall’art. 9, comma 1, d.lgs. n. 231/2001, in relazione al successivo art. 19, si configuri come vera e propria sanzione amministrativa, conseguente al reato. Quale sanzione dell’illecito amministrativo, dipendente dal reato, la confisca di cui all’art. 19 d.lgs. n. 231/2001 è certamente assoggettata al regime di prescrizione delineato dall’art. 22 dello stesso decreto. La giurisprudenza della Corte ha già precisato infatti che tale termine riguarda tanto l’illecito, che non può più essere perseguito decorsi cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, quanto la sanzione amministrativa definitivamente irrogata, che dovrà essere riscossa o altrimenti eseguita, a pena di estinzione, entro il termine di cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza pronunciata a carico della persona giuridica; fatti salvi, per la sanzione, gli effetti di eventuali cause interruttive rilevanti a norma del codice civile (Cass. pen., Sez. I, 5 maggio 2021, n. 31854).