A cura di Rossella Ceccarini
CONSIGLIO DI STATO, Sezione III, sentenza n. 142 del 23.11.2023 pubblicata il 04.01.2024
La Terza Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 142 pubblicata il 4 gennaio 2024 ha ribadito che: “il pericolo di infiltrazione mafiosa deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma che implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere ‘più probabile che non’, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa (v., per tutte, Cons. Stato, sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758; Cons. Stato, sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743)”.
La vicenda sottoposta al vaglio del Consiglio di Stato riguarda un appello proposto dalla Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria e ANAC con cui veniva impugnata una sentenza del T.A.R. per la Calabria – Sezione distaccata di Reggio Calabria, che aveva accolto il ricorso proposto da (…) e da (…), nella loro qualità di socie amministratrici della (…), per l’annullamento dell’informazione interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria e degli atti conseguenti [il provvedimento della Camera di Commercio di Reggio Calabria, con cui è stata invitata la società a provvedere all’iscrizione al R.E.A. della cessazione dell’attività, la comunicazione dell’avvenuta annotazione nel casellario informatico dell’Autorità, il provvedimento con cui il Comune di (…) ha avviato il procedimento volto all’emissione di un provvedimento di sospensione dell’attività]. Le amministrazioni appellanti lamentavano violazione e falsa applicazione degli artt. 84 e 91 d.lgs. n. 159/2011, erronea valutazione delle circostanze di fatto e di diritto, vizio di motivazione.
Il Consiglio di Stato, nell’accogliere l’appello, ha chiarito che lo stesso legislatore – con l’art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159/2011 (c.d. codice antimafia) – riconosce quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di «eventuali tentativi» di infiltrazione mafiosa «tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate». Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di queste ad influenzare la gestione dell’impresa sono all’evidenza tutte nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzate, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori. Il pericolo – anche quello di infiltrazione mafiosa – è per definizione la probabilità di un evento e, cioè, l’elevata possibilità e non mera possibilità o semplice eventualità che esso si verifichi. Il diritto amministrativo della prevenzione antimafia in questa materia non sanziona perciò fatti penalmente rilevanti, né reprime condotte illecite, ma mira a scongiurare una minaccia per la sicurezza pubblica, l’infiltrazione mafiosa nell’attività imprenditoriale, e la probabilità che siffatto “evento” si realizzi (Cons. Stato, Sez. III, 31 marzo 2023, n. 3338). E ciò pur nella consapevolezza che il pericolo dell’infiltrazione mafiosa, quale emerge dalla legislazione antimafia, non può tuttavia sostanziarsi in un sospetto della pubblica amministrazione o in una vaga intuizione del giudice, che consegnerebbero questo istituto, pietra angolare del sistema normativo antimafia, ad un diritto della paura, ma deve ancorarsi a condotte sintomatiche e fondarsi su una serie di elementi fattuali, taluni dei quali tipizzati dal legislatore (art. 84, comma 4, d.lgs. n. 159/2011: si pensi, per tutti, ai cc.dd. delitti spia), mentre altri, “a condotta libera”, sono lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa, che “può” – si badi: può – desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, ai sensi dell’art. 91, comma 6, d.lgs. n. 159/2011, da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali «unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata» (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 6105/2019). In conclusione, nell’ambito dell’ampia discrezionalità da cui è connotata l’attività amministrativa in materia, sindacabile in sede giurisdizionale solo per evidente violazione di legge e per macroscopica irrazionalità (ex multis, Cons. Stato, Sez. III, 23 dicembre 2022, n. 11265), nel caso di specie, il Prefetto ha adottato il provvedimento interdittivo sulla base di vari elementi che si fondano sulle emergenze documentali sopra indicate e, al riguardo, ritiene il Consiglio di Stato che la motivazione sottesa all’atto gravato sia esaustiva e completa, la cui esatta portata non è stata adeguatamente valorizzata dal Tribunale territoriale nell’ambito delle regole che presiedono alla disciplina antimafia.