A cura di Rossella Ceccarini

CONSIGLIO DI STATO, Sezione III, sentenza n. 3370 del 04.04.2024 depositata il 12.04.2024

La Terza Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 3370 depositata il 12 aprile 2024, premessa la natura cautelare e preventiva del provvedimento di interdittiva antimafia (Cons. Stato, Ad. Plen., 6 aprile 2018, n. 3), ha richiamato il principio secondo cui, proprio quando dietro la singola realtà d’impresa vi è un nucleo familiare particolarmente compatto e coeso, è statisticamente più facile che coloro i quali sono apparentemente al di fuori delle singole realtà aziendali possano curarne (o continuare a curarne) la gestione o, comunque, interferire in quest’ultima facendo leva sui più stretti congiunti.

La questione sottoposta al vaglio del Consiglio di Stato riguarda una sentenza del T.A.R. Calabria – Sezione di Reggio Calabria che aveva respinto il ricorso per l’annullamento dell’informazione antimafia interdittiva adottata dal Prefetto di Reggio Calabria nei confronti della società (…) della quale il ricorrente è titolare. A seguito di tale rigetto, (…) proponeva appello deducendo l’erroneità per non aver rilevato la carenza di motivazione del provvedimento impugnato e la circostanza che alcuna delle ragioni addotte dalla Prefettura a supporto dell’informativa costituiva valido indizio. Veniva ulteriormente dedotta l’erroneità della declaratoria di inammissibilità delle censure proposte contro la revoca e la sospensione delle commesse nonché della reiezione del motivo dedotto sulla pretesa violazione dell’art. 32 d.l. n. 90/2014.

Il Consiglio di Stato ha ribadito che proprio il nucleo familiare “allargato”, ma unito nel curare gli “affari” di famiglia, è uno degli strumenti di cui più frequentemente si serve la criminalità organizzata di stampo mafioso per la penetrazione legale nell’economia, tanto è vero che l’Adunanza Plenaria (sentenza 6 aprile 2018, n. 3), riprendendo la giurisprudenza della Sezione, ha ribadito che – quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose – l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto) alla quale non risultino estranei detti soggetti, ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto con il proprio congiunto. Nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza; una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della “famiglia”, sicché in una “famiglia” mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l’influenza del “capofamiglia” e dell’associazione. Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza – su un’area più o meno estesa – del controllo di una “famiglia” e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti.

Per ciò che concerne nello specifico la fattispecie di cui è causa, il Consiglio di Stato ha ribadito che la permeabilità dei clan mafiosi nella zona rende irrilevante la circostanza che un peso determinante nell’interdittiva abbiano avuto i rapporti di parentela – incontestati – con soggetti che, al momento dell’adozione dell’interdittiva, apparissero molto vicini ad ambienti della criminalità organizzata. La convergenza degli indizi in prevalenza su una tipologia (nella specie, i rapporti familiari) non può escludere che gli stessi siano da soli in grado di supportare l’interdittiva, poiché la struttura familiare-clanica si accompagna a plurime evidenze di interessi economici comuni e con una regia non immune da condizionamenti mafiosi.

La giurisprudenza amministrativa, inoltre, è ferma nell’affermare che l’interdittiva antimafia può essere legittimamente fondata anche su fatti che sono risalenti nel tempo, purché dall’analisi complessiva delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario che sia idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa (Cons. Stato, Sez. V, 11 aprile 2022, n. 2712; Cons. Stato, 6 giugno 2022, n. 4616). L’impugnazione dell’interdittiva antimafia si configura quale giudizio non sul rapporto ma sull’atto, la cui legittimità va scrutinata alla stregua del canone del tempus regit actum, sulla base dello stato di fatto e di diritto sussistente al momento della sua adozione (Cons. Stato, 12 settembre 2023, n. 8269). Pertanto, sono tendenzialmente irrilevanti, in punto di scrutinio della legittimità dell’informativa adottata anche sulla base di atti emanati dall’autorità giudiziaria penale, successive vicende penali, fatta salva la facoltà per la parte interessata di avanzare, sulla base delle stesse sopravvenienze, una motivata istanza di riesame della misura interdittiva (Cons. Stato, ordinanza 19 maggio 2023, n. 2013). Ed invero, ciò che retrospettivamente – alla luce degli approfondimenti probatori successivamente effettuati nella sede penale e nella sede delle misure di controllo giudiziario di competenza dell’autorità giudiziaria – può perdere di consistenza o rivelarsi non assistito da sufficienti basi probatorie, ben può, invece, se considerato dall’angolo prospettico anticipatorio della Prefettura e nel momento temporale dell’adozione della misura interdittiva, risultare più che sufficiente a sorreggere la logicità, la razionalità e dunque la legittimità della misura adottata. Naturalmente le sopravvenienze rilevano prospetticamente de futuro, in quanto premessa e presupposto di una revisione, da parte della competente autorità prefettizia, della posizione dell’impresa prevenuta, essendo espressamente previsto dalla normativa di settore l’aggiornamento periodico, anche su domanda di parte (art. 91, comma 5, ultimo periodo, cod. antimafia, secondo cui “il prefetto, anche sulla documentata richiesta dell’interessato, aggiorna l’esito dell’informazione al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa”).


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INTERDITTIVA ANTIMAFIA E FATTI RISALENTI NEL TEMPO

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