a cura di Rossella Ceccarini

CONSIGLIO DI STATO, Sezione III, sentenza n. 4111 del 23.04.2024 depositata il 07.05.2024

La Sezione Terza del Consiglio di Stato con la sentenza n. 4111 depositata il 7 maggio 2024 ha affermato che la causa di esclusione automatica di cui all’art. 80, comma 5, lettera f), d.lgs. n. 50/2016 opera anche in relazione a misure interdittive aventi natura cautelare e non solo per quelle definitive.

La questione trae origine dal ricorso avverso la sentenza emessa dal T.A.R. della Puglia che aveva confermato la determina che ravvisava in capo all’aggiudicatario la causa di esclusione di cui all’art. 80 d.lgs. n. 50/2016 nonché l’inefficacia della misura di self cleaning adottata sulla scorta delle notizie emerse da un’indagine condotta dalla Procura di Palermo nei confronti di alcune figure apicali della ditta (…) ed esitate nell’applicazione di misure cautelari di natura coercitiva.

Secondo il Consiglio di Stato, al fine di riconoscere rilevanza escludente anche alla misura interdittiva cautelare, si è opportunamente osservato che la norma prevede, quale causa di esclusione l’ipotesi in cui “l’operatore economico sia stato soggetto alla sanzione interdittiva di cui all’articolo 9, comma 2, lettera c) del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 o ad altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, compresi i provvedimenti interdittivi di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81”. La disposizione, dunque, in primo luogo, richiama, quale ipotesi di esclusione, la sanzione di cui all’art. 9, comma 2, lett. c), d.lgs. n. 231/2001, ossia la sanzione del “divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio”, senza ulteriormente specificare che tale sanzione debba essere irrogata con la sentenza di condanna (art. 69 d.lgs. n. 231/2001) e non “quale misura cautelare” (art. 45, comma 1, d.lgs. n. 231/2001). Essa, in secondo luogo, esplicita il suo raggio di azione, facendo altresì riferimento, con ampia formula di chiusura, a qualsiasi “altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione”. La formulazione della disposizione impone, dunque, di ritenere ricadente nel suo ambito di applicazione qualsiasi sanzione che comporti il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, senza distinguere la fase processuale in cui essa è disposta (in sede cautelare o in sede di condanna); ove, d’altro canto, si escludesse la rilevanza esclusiva della sanzione interdittiva disposta in sede cautelare la ratio propria di tale misura sarebbe vanificata, perché, pur colpita da misura interdittiva, la società da essa raggiunta potrebbe continuare a partecipare alle (ed aggiudicarsi le) gare. Il che – sia consentito chiosare – si tradurrebbe in un’indebita violazione del comando reso in sede penale e in una sostanziale abrogazione della disposizione che assegna all’autorità giudiziaria penale il potere interdittivo anche a titolo cautelare. In virtù del noto principio che impone il possesso continuativo dei requisiti generali e speciali in capo agli aspiranti aggiudicatari (principio già affermato dall’Adunanza Plenaria con sentenza n. 8/2015, ribadito con le pronunce n. 3/2017 e 8/2020 nonché, da ultimo, con la più recente n. 7/2024), anche una soluzione di continuità di breve durata comporta l’espulsione dalla gara (v. Cons. Stato, Sez. V, n. 560/2023; Cons. Stato, n. 386/2021, 8558/2022 e 779/2023). La revoca della misura interdittiva disposta dall’autorità penale nel caso in esame ha prodotto effetti solo ex nunc: vero è, infatti, che la disciplina di settore (art. 52 d.lgs. n. 231/2001) ammette la possibilità che la misura venga annullata dal giudice del riesame con conseguente venir meno della sua efficacia ex tunc, ma nel caso di specie l’interdittiva è stata solo revocata ex nunc (ai sensi dell’art. 50 d.lgs. n. 231/2001), previa sua sospensione, per essersi l’operatore ravveduto e avere posto in essere comportamenti concretamente idonei, da una parte, a sanare le conseguenze dell’illecito e, dall’altra, a “mettere in sicurezza” la struttura organizzativa, garantendo la sua idoneità a prevenire ulteriori illeciti (artt. 49 e 17 d.lgs. n. 231/2001). D’altra parte, proprio su questa premessa logica concernente la diversa portata dell’annullamento e della revoca della misura cautelare, la giurisprudenza penale ha chiarito che la revoca della misura interdittiva disposta a seguito di condotte riparatorie poste in essere ex art. 17 d.lgs. n. 231/ 2001, intervenuta nelle more dell’appello cautelare proposto nell’interesse della società indagata, non determina automaticamente la sopravvenuta carenza di interesse all’impugnazione (Cass. pen., Sez. Un., n. 51515/2018). Quanto, invece, alle ricadute che la misura interdittiva determina sulla procedura di evidenza pubblica, in casi simili e comparabili a quello in esame la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Sez. V, n. 4732/2022, 8558/2022 e 560/2023) ha stabilito che la sopravvenuta inefficacia della misura interdittiva non ha portata retroattiva, con la conseguenza che la sua sospensione ed eventuale revoca non eliminano gli effetti preclusivi prodotti, nelle more, sui rapporti e sulle gare in corso. Occorre, poi, osservare che la fattispecie escludente in esame ha carattere automatico e non è quindi rimessa ad un giudizio di congruità e proporzionalità da parte dell’Amministrazione, prima, e del giudice, poi. Si può sorvolare sugli effetti disgregativi – fin troppo evidenti – che la messa in discussione dell’automatismo determinerebbe sull’intera sistematica delle fattispecie escludenti, impostata su una chiara e tassonomica ripartizione che segue alla loro valenza vincolante o discrezionale, la quale verrebbe vistosamente alterata dall’introduzione di un effetto di osmosi tra le due categorie e dalla riespansione delle valutazioni casistiche e discrezionali (per di più in assenza di parametri d’ordine e di orientamento nel giudizio di proporzionalità) anche ad un’area regolativa che il legislatore ha consapevolmente (e coerentemente con le direttive eurounitarie, v. art. 57 Direttiva 2014/24/UE) voluto concepire come ad esse rigidamente preclusa. Non si può, d’altra parte, mancare di considerare che il sistema conosce strumenti di possibile temperamento dell’effetto escludente (quali quello delle misure di self cleaning che dovessero essere adottate dall’operatore per dimostrare il recupero dei requisiti soggettivi) applicabili, salvo limitate eccezioni, anche alle fattispecie ostative obbligatorie (v., art. 80, commi 7 e 8, d.lgs. n. 50/2016), sicché anche in quest’ambito disciplinare delle misure espulsive può dirsi presente una valvola correttiva, attuativa dei principi generali di ragionevolezza e proporzionalità.

 

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ESCLUSIONE AUTOMATICA DALLE GARE IN RELAZIONE A MISURE INTERDITTIVE AVENTI NATURA CAUTELARE

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