CORTE DI CASSAZIONE, Sezione VI Penale, sentenza n. 25648 del 13.02.2024 depositata il 16.09.2024
La Sesta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25648 depositata il 16 settembre 2024, ha affermato che la cancellazione di una società dal Registro delle imprese è equiparabile alla morte del reo ed estingue l’illecito. La pronuncia degli Ermellini ribadisce, quindi, le conclusioni cui era già approdata una parte della giurisprudenza di legittimità, sia pure con la precisazione che è solo l’estinzione fisiologica, e non quella fraudolenta, dell’ente che dà luogo ad un evento assimilabile a quello della morte dell’imputato (Cass. pen., Sezione II, 7 ottobre 2019, n. 41082; Cass. pen., Sezione V, 5 luglio 2021, n. 25492).
La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte riguarda un ricorso avverso una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano che aveva parzialmente riformato una sentenza emessa dal Tribunale di Milano dichiarando non doversi procedere nei confronti della società (…) s.r.l. in liquidazione in ordine all’illecito amministrativo di cui all’art. 25, comma 3, d.lgs. n. 231/2001 in relazione al reato di corruzione contestato all’amministratore perché estinto per intervenuta cessazione della società, equiparando la cancellazione alla morte del reo ai sensi dell’art. 150 c.p. Ha promosso ricorso per cassazione il Procuratore generale, con un unico motivo, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione per avere la sentenza impugnata erroneamente dichiarato l’estinzione dell’illecito amministrativo a seguito della liquidazione volontaria e della successiva cancellazione dal Registro delle imprese della società (…).
Secondo la Suprema Corte, le formalità della cancellazione dal Registro delle imprese comportano il venir meno della persona giuridica, con l’inevitabile conclusione che le si estendano le norme previste per l’imputato dal codice di procedura penale, ai sensi dell’art. 35 d.lgs. n. 231/2001 («All’ente si applicano le disposizioni processuali relative all’imputato, in quanto compatibili»), con conseguente impraticabilità di quelle sanzioni relative e connesse alla sua attività.
La questione dell’equiparazione tra società cancellata e morte del reo, con relativa cessazione di ogni rapporto processuale dipendente dall’illecito derivante dal delitto presupposto, ha visto negli anni svilupparsi un ricco dibattito giurisprudenziale e dottrinale con due diverse posizioni. Da un lato, quella assunta dalla Corte d’Appello di Milano che, dichiarando l’estinzione dell’illecito amministrativo per avvenuta cancellazione della (…) s.r.l., ha aderito all’orientamento espresso da Cass., Sez. II, n. 41082 del 10/09/2019, Rv. 277107; dall’altro lato, quella sostenuta dal Procuratore generale nella sua requisitoria che ha chiesto di escludere che la cancellazione dell’ente dal Registro delle imprese determini l’estinzione dell’illecito previsto dal d.lgs. n. 231/2001 commesso nell’interesse ed a vantaggio dello stesso, che è affermata da Cass., Sez. IV, n. 9006 del 22/02/2022, Rv. 282763, e Cass., Sez. II, n. 37655 dell’8/06/2023. Detta posizione tende ad evitare che la compagine sociale, con cancellazioni “di comodo”, paralizzi la risposta punitiva dell’ordinamento e, prima ancora, l’accertamento della responsabilità dell’ente per fatti anteriormente commessi. Gli argomenti a sostegno di questo orientamento sono i seguenti: 1) le cause estintive dei reati costituiscono un numerus clausus e, dunque, non possono essere interpretate estensivamente; 2) il d.lgs. n. 231/2001, quando ha inteso fare riferimento a cause estintive degli illeciti, lo ha esplicitato (art. 8, comma 2, sull’amnistia e art. 67 sulla prescrizione); 3) il fallimento (ora liquidazione giudiziale) della persona giuridica non determina l’estinzione dell’illecito amministrativo previsto dal d.lgs. n. 231/2001 (Cass., Sez. U, n. 11170 del 25/09/2014, dep. 2015, Uniland Spa, Rv. 263682), cosicché non vi sono ragioni per un diverso esito in ordine alla cancellazione della società; 4) il rinvio operato dall’art. 35 d.lgs. n. 231/2001 alle disposizioni processuali relative all’imputato non è indiscriminato, ma solo «in quanto compatibili». A questi argomenti, la requisitoria del Procuratore generale della Corte di Cassazione ha aggiunto l’esclusione dell’applicabilità dell’istituto della messa alla prova alla responsabilità degli enti con richiamo all’art. 67 d.lgs. n. 231/2001 che si riferisce solo ai casi previsti dall’art. 60 e all’estinzione per prescrizione (Cass., Sez. U, n. 14840 del 27/10/2022, dep. 2023, Società La Sportiva, Rv. 284273).
Secondo la Corte di Cassazione, le argomentazioni di detta seconda posizione giurisprudenziale non sono condivisibili. Tale tesi non offre adeguata risposta ad alcune questioni dirimenti, la prima delle quali è l’inutilità delle sanzioni in caso di estinzione dell’ente, sia perché inflitte ad un soggetto inesistente sotto il profilo civilistico, sia perché quelle previste dall’art. 9, comma 2, d.lgs. n. 231/2001 mirano a limitare o inibire specifiche attività svolte dall’ente non solo per ragioni strettamente punitive, ma anche per favorirne l’adeguamento al sistema normativo, funzioni non perseguibili per assenza del soggetto destinatario. D’altra parte, lo stesso art. 14 d.lgs. n. 231/2001, secondo cui le sanzioni interdittive hanno ad oggetto la specifica attività alla quale si riferisce l’illecito commesso dall’ente, presuppone, dal punto di vista logico, che questo continui a svolgerla nell’attualità, al fine di inibirla, condizione non esistente rispetto ad una società cancellata dal Registro delle imprese. In termini analoghi, secondo gli Ermellini, si deve concludere anche con riferimento alle sanzioni pecuniarie, la cui finalità è quella di colpire la disponibilità economica dell’ente necessaria per la sua operatività nel mondo giuridico, ma che, una volta venuta meno tale operatività, non sono più funzionali all’obiettivo perseguito. Quindi, la sopravvivenza della società cancellata dal Registro delle imprese ai soli effetti penali, da un lato, determinerebbe l’applicazione di sanzioni inattuabili, dall’altro finirebbe per gravare, in sede esecutiva, su soggetti terzi rispetto all’ente responsabile della violazione, persino con il pericolo della duplicazione di sanzioni a carico di questi, tanto da far retrocedere l’argomento della tassatività (o eccezionalità) delle cause estintive degli illeciti (artt. 8 e 67 d.lgs. n. 231/2001).
La decisione degli Ermellini afferma che la cancellazione dal Registro implica la fine della persona giuridica, estendendo ad essa le disposizioni del codice di procedura penale relative all’imputato, impedendo così l’applicazione delle sanzioni. Tuttavia, altre sentenze, come la n. 9006/2022 e la n. 37655/2023, hanno negato tale equiparazione, sostenendo che la cancellazione potrebbe essere utilizzata come mezzo per sfuggire alla responsabilità giudiziaria. Queste divergenze potrebbero richiedere l’intervento delle Sezioni Unite per risolvere il contrasto.