a cura di Rossella Ceccarini

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III Penale, sentenza n. 34996 del 15.05.2024 depositata il 18.09.2024

La Terza Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34996 del 15 maggio 2024 depositata il 18 settembre 2024, ha ribadito alcuni principi fondamentali in merito alla legittimazione, da parte del singolo socio, ad agire in giudizio per la restituzione dei beni confiscati alla società.

La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte di Cassazione riguarda un ricorso per l’annullamento di un’ordinanza emessa dal Tribunale di Palermo che aveva dichiarato inammissibile l’appello di un provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale che aveva rigettato una richiesta di revoca di un decreto con cui era stato disposto il sequestro preventivo di beni aziendali della società (…) s.r.l. Il ricorrente, nel promuovere ricorso per cassazione, aveva dedotto contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione nonché inosservanza di norme processuali.

Secondo gli Ermellini, e come più volte chiarito dalla giurisprudenza delle Sezioni Civili della medesima Corte di Cassazione, le società di persone, pur non avendo personalità giuridica ma soltanto autonomia patrimoniale, costituiscono un autonomo soggetto di diritto, che può essere centro di interessi e d’imputazione di situazioni sostanziali e processuali distinte da quelle riferibili ai singoli soci che, pertanto, non sono legittimati ad agire in proprio per gli interessi della società stessa (Cass. civ., Sez. III, 18 luglio 2022, n. 10427). A prescindere dal titolo dell’acquisto (conferimenti o successivi incrementi frutto dell’attività di impresa), i beni costituenti patrimonio della società in nome collettivo sono di proprietà della società e, quand’anche si tratti di beni conferiti a titolo di godimento, il socio proprietario non può farne uso per scopi estranei a quelli societari (art. 2256 c.c.). Secondo una risalente ma mai superata pronuncia della Corte di Cassazione, i concetti giuridici di capitale sociale e di patrimonio sociale, pur presentando qualche elemento di correlazione, particolarmente accentuato nel momento della costituzione della società, sono diversi ed inconfondibili. Il capitale sociale traduce in cifra precisa (suscettibile, di norma, di variazione nella sua entità giuridica e contabile solo a seguito di modifica nelle forme legali dell’atto che lo abbia determinato) l’ammontare complessivo degli apporti dei soci all’atto della costituzione. Il patrimonio sociale invece è formato dal complesso dei diritti e degli obblighi, dai rapporti giuridici attivi e passivi che, nel corso della gestione, vengano man mano ad accentrarsi nella società ed è, pertanto, soggetto alle fluttuazioni e trasformazioni determinate dalle esigenze e dagli effetti della realtà economica e – visto in un particolare momento – identifica il complesso dei beni dei quali, nel momento medesimo, la società è titolare (Cass. civ., Sez. I, 25 marzo 1965, n. 488). Orbene, premesso che il socio non può di norma chiedere la restituzione dei beni conferiti in godimento se non in caso di scioglimento della società (art. 2281 c.c.) o di recesso o in base al titolo con il quale è stato concesso il godimento del bene, i beni costituenti il patrimonio sociale appartengono alla società e non al singolo socio, il quale non può dunque chiederne la restituzione o rivendicarne la proprietà (sul punto, Cass. civ., Sez. I, 28 ottobre 1960, n. 2928, secondo cui, essendo indiscutibile la sussistenza di una distinzione tra la società di persone ed i soci della stessa – trattavasi, nella specie, di società in nome collettivo –, deve escludersi che il singolo socio di una tale società, pendendo la liquidazione di quest’ultima, possa esercitare, in proprio nome, un’azione di rivendica in proprietà esclusiva di beni che egli assume essere stati illegittimamente distratti dal patrimonio sociale. In tale caso, infatti, stante la permanenza in vita della società durante la sua fase di liquidazione, e dato che il titolo dedotto dal socio rivendicante non è di per sé idoneo ad attribuire allo stesso la pretesa proprietà esclusiva dei beni medesimi, deve affermarsi il difetto di legittimazione attiva del socio alla detta azione. Nello stesso senso, Cass. civ., Sez. I, 9 maggio 1962, n. 931, secondo cui nelle società semplici, prive di personalità giuridica, ma dotate di autonomia patrimoniale con riferimento alla destinazione dei beni conferiti all’esercizio collettivo di un’attività economica, l’autonomia patrimoniale permane anche durante la fase di liquidazione; ne consegue che, nel corso di tale fase, per il vincolo di destinazione che grava sui beni, il singolo socio non può esercitare in proprio nome l’azione di revindica in proprietà esclusiva dei beni che egli assume essere stati illegittimamente distratti dal patrimonio sociale e che la rappresentanza in giudizio degli interessi sociali spetta esclusivamente ai liquidatori). In sede penale, è stata affermata l’inammissibilità della confisca dell’autovettura appartenente ad una società in nome collettivo (della quale l’imputato era socio), in quanto quest’ultima è soggetto giuridico estraneo al reato di guida in stato di ebbrezza (Cass. pen., Sez. IV, 2 ottobre 2009, n. 1536).

Secondo la Suprema Corte, in conclusione, l’autonomia patrimoniale delle società di persone esclude che il socio possa, in quanto tale, agire in giudizio per la restituzione dei beni che appartengono alla società della quale non abbia la legale rappresentanza. Nelle società in nome collettivo la legale rappresentanza spetta a ciascun socio se non è diversamente pattuito (artt. 2257, 2266, 2293 c.c.).


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BENI CONFISCATI ALLA SOCIETA’: LEGITTIMAZIONE AD AGIRE IN GIUDIZIO PER LA RESTITUZIONE

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