a cura di Rossella Ceccarini

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione IV penale, sentenza n. 37751 del 23.05.2024 depositata il 15.10.2024

La Quarta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37751 del 23 maggio 2024 depositata il 15 ottobre 2024, ha affermato che, a differenza di quanto previsto per le persone fisiche, non può essere disposta l’imputazione coatta dell’impresa sotto indagine, sulla base del d.lgs. n. 231/2001, per violazione della normativa a presidio della sicurezza dei lavoratori (nel caso di specie, reato di lesioni colpose con infrazione della disciplina antinfortunistica).

La questione trae origine dal ricorso presentato dalla difesa contro il provvedimento di imputazione coatta deciso dal G.I.P., oltre che nei confronti dei vertici di una società cooperativa e del medico competente, anche a carico della società stessa.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37751, ha richiamato innanzitutto l’articolo 58 d.lgs. n. 231/2001 che, sotto la rubrica “Archiviazione”, recita: “Se non procede alla contestazione dell’illecito amministrativo a norma dell’art. 59, il pubblico ministero emette decreto motivato di archiviazione degli atti, comunicandolo al procuratore generale presso la corte d’appello. Il procuratore generale può svolgere gli accertamenti indispensabili e, qualora ne ricorrano le condizioni, contesta all’ente le violazioni amministrative conseguenti al reato entro sei mesi dalla comunicazione”. In sostanza, a parere degli Ermellini, si è inteso espressamente attribuire al P.M. un potere di archiviazione diretta, da taluni definita “cestinazione”, con il solo controllo gerarchico del procuratore generale, il quale ha facoltà, ove ritenga, di svolgere le indagini ritenute indispensabili e di elevare la contestazione dell’illecito che eventualmente ipotizzi sussistente. A chiarire le ragioni della previsione è la relazione al d.lgs. n. 231/2001, che spiega che l’adozione di un “procedimento semplificato senza controllo del giudice” si giustifica con la natura amministrativa della responsabilità dell’ente, che non richiede necessariamente un controllo giurisdizionale sull’inazione del pubblico ministero. Secondo la Suprema Corte, pur prescindendo dalla controversa riferibilità del principio di obbligatorietà dell’azione penale alla responsabilità di cui al d.lgs. n. 231/2001, non è evidente la contrarietà della disciplina ad esso, posto che il pubblico ministero è tenuto a motivare la propria decisione, ancorata a parametri legali e sottoposta al controllo del procuratore generale della Repubblica. Per gli Ermellini, “la previsione dell’articolo 58 definisce un sistema in sè compiuto, o comunque del tutto distinto ed autonomo da quello descritto negli articoli 408 e seguenti del Codice di procedura penale. Sicché non può evocarsi l’articolo 34 del decreto legislativo n. 231 del 2001 per riversare nella disciplina del procedimento di archiviazione del procedimento nei confronti dell’ente tratti di quella prevista per l’archiviazione della notizia di reato”. Tra l’altro, ricorda ancora la Cassazione, il dettato normativo non esclude che, su sollecitazione dell’interessato ovvero anche d’ufficio, il pubblico ministero, re melius perpensa, revochi, con apposito provvedimento, il decreto di archiviazione e decida di proseguire le indagini preliminari. E non vi è motivo di dubitare che, tra le ragioni in grado di condurre il P.M. a revocare la propria archiviazione, possa esservi la motivazione del provvedimento di imputazione coatta del G.I.P. nei confronti delle persone fisiche aventi ruoli di responsabilità nell’ente ovvero quella dell’ordine giurisdizionale di svolgere nuove indagini come anche il concreto esito delle nuove indagini effettuate ovvero altri elementi ancora.


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RESPONSABILITA’ EX D.LGS N. 231/2001: NON CONSENTITA L’IMPUTAZIONE COATTA DELL’ENTE

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