a cura di Rossella Ceccarini
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione V, ordinanza n. 23341 del 31.05.2024 depositata il 29.08.2024
La Quinta Sezione della Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23341, ha espresso il seguente principio di diritto: “l’estinzione della società di capitali conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese integra un fenomeno successorio connotato da caratteristiche sui generis, connesse al regime di responsabilità dei soci per i debiti sociali nelle differenti tipologie di società (Cass., Sez. U, 12.03.2013, n. 6070), con la conseguenza che i soci sono chiamati a rispondere anche per il pagamento delle sanzioni tributarie nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione, venendo, altrimenti, vanificata la ratio sottesa all’art. 7 d.l. 30.09.2003, n. 769, convertito con modificazione dalla legge 24.11.2003, n. 326, funzionale a evitare che gli effetti della sanzione ricadano su un soggetto diverso da quello che si avvantaggia, in concreto, della violazione della norma tributaria”.
La questione riguarda una sentenza emessa nel 2013 dalla Commissione Tributaria Provinciale di Treviso che aveva accolto il ricorso interposto dai soci di una società a responsabilità limitata estinta nel 2007 avverso un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione il maggior imponibile, ai fini IRES, IVA ed IRAP, per euro 171.825 in conseguenza di un controllo effettuato sulle vendite operate dalla società nell’anno d’imposta 2005. L’Agenzia delle Entrate aveva quindi impugnato la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale e la Commissione Tributaria Regionale di Venezia aveva parzialmente accolto l’appello ritenendo nullo l’avviso di accertamento notificato al liquidatore della società e corretti gli avvisi notificati nei confronti dei soci, ad eccezione della parte relativa alle sanzioni. Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Venezia l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in Cassazione, con un unico motivo di ricorso contestando la violazione dell’art. 2495 c.c., degli artt. 5 e 6 d.lgs. n. 472/1997 e dell’art. 7 d.l. n. 269/2003, ritenendo gli ex soci responsabili personalmente per le sanzioni irrogate alla società estinta.
La Suprema Corte di Cassazione ha precisato che, secondo consolidata giurisprudenza, il debito del quale, in situazioni di tal genere, possono essere chiamati a rispondere i soci della società cancellata dal Registro non si configura come un debito nuovo, quasi traesse la propria origine dalla liquidazione sociale, ma si identifica con il medesimo debito che faceva capo alla società, conservando intatta la propria causa e la propria originaria natura giuridica (cfr. Cass., Sez. U., 12 marzo 2013, n. 6070). L’estinzione della società di capitali conseguente alla sua cancellazione dal Registro delle imprese comporta, quindi, un fenomeno di tipo successorio, che si caratterizza per il trasferimento ai soci del medesimo debito che faceva capo alla società nei limiti di quanto ricevuto in sede di liquidazione. Sempre secondo la Corte, la regolamentazione dei rapporti passivi di una società estinta risponderebbe alla logica del principio di garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c., secondo cui “il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”. Tuttavia, a detta dei giudici, il fenomeno successorio sui generis previsto dall’art. 2495, comma 3, c.c. (che tale è anche se si vogliono rifiutare improprie suggestioni antropomorfiche derivanti dal possibile accostamento tra l’estinzione della società e la morte di una persona fisica, Cass., Sez. U., n. 6070 del 2013) presenta, quindi, una continuità di tipo linguistico e descrittivo più che di tipo sostanziale rispetto alla disciplina delle successioni regolate nel secondo libro del codice civile. Di conseguenza, non può trovare applicazione l’art. 8 d.lgs. n. 472/1997 (che recita che l’obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi), non essendoci alcun margine per qualificare l’estinzione della società e la morte della persona fisica come “casi simili”, ai sensi e per gli effetti di quanto previsto nell’art. 12, comma 2, disp. prel. ai fini dell’interpretazione analogica. Tale conclusione trova ulteriore conferma, in termini sistematici, nella disciplina che regola il regime di responsabilità per le sanzioni tributarie nel caso delle società o enti con personalità giuridica. A tal fine l’art. 7 d.l. n. 269/2003, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 326/2003 (ulteriore parametro normativo posto a fondamento del motivo di ricorso ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) prevede che: “le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica”. La norma appena richiamata esclude ogni e qualsivoglia responsabilità solidale dei soci (o degli associati) in relazione alle società o agli enti con personalità giuridica e prima ancora con l’autore dell’infrazione. La sua ratio è, infatti, “quella di rompere lo schema penalistico che connota le sanzioni tributarie, al fine di evitare che l’autonomia patrimoniale perfetta conseguente all’acquisizione della personalità giuridica faccia ricadere gli effetti della sanzione su un soggetto diverso da quello che si avvantaggia, in concreto, della violazione della norma tributaria. L’art. 7 d.l. n. 269 del 2003 costituisce, quindi, una sorta di correttivo al principio personalistico che caratterizza l’impianto sanzionatorio in ambito tributario, determinando una scissione tra chi commette materialmente la violazione (dipendente o legale rappresentante della società di capitali) e il soggetto che si avvantaggia dei risultati di quest’ultima (la società). Tale norma non è, tuttavia, incompatibile con il meccanismo che regola la responsabilità per i debiti della società estinta ai sensi dell’art. 2495, comma 3, cod. civ., secondo il quale il socio risponde, nei limiti di quanto attribuito in sede di liquidazione. In caso contrario, l’estinzione della società eliderebbe, infatti, il legame di garanzia (generica) tra i beni già parte del patrimonio sociale attribuiti ai soci e l’obbligazione avente per oggetto il pagamento della sanzione tributaria, non solo con un’evidente deroga all’art. 2740 cod. civ., ma anche in contrapposizione alla ratio stessa dell’art. 7 d.l. n. 269 del 2003”.