a cura di Rossella Ceccarini

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III Penale, sentenza n. 37131 del 04.07.2024 depositata il 08.10.2024

La Terza Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37131 depositata l’8 ottobre 2024, intervenendo in tema di dichiarazioni fraudolente e responsabilità del prestanome, ha ribadito il principio per cui l’accettazione del ruolo di legale rappresentante da parte di un soggetto, purtuttavia consapevole del fatto che l’effettiva gestione della società sarebbe rimasta in capo all’amministratore di fatto, non è elemento sufficiente per fondare la sua responsabilità per dolo, che si configurerebbe come una responsabilità di posizione inammissibile ai sensi dell’art. 27 Cost.

Il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte riguarda una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano che aveva confermato la pronuncia di condanna resa dal Tribunale di Milano nei confronti di (…) accusato di aver firmato dichiarazioni IVA con costi fittizi, utilizzando fatture emesse da una cosiddetta “cartiera”. Il prestanome, avverso la sentenza di appello, proponeva ricorso in cassazione fondato su due motivi, deducendo la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., in relazione all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000, con riferimento all’art. 14, comma, 4-bis, l. n. 537/1993 ed all’art. 192 c.p.p., nonché la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. in relazione alla sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato. La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’imputato, con rinvio per nuovo giudizio, evidenziando che la responsabilità penale non può essere basata solo sulla presenza della “cartiera” e sul ruolo di prestanome. Per gli Ermellini, come “emerge dalla formulazione letterale della norma, laddove compare la locuzione ‘al fine di’, per l’integrazione dell’elemento soggettivo si richiede anche il dolo specifico, rappresentato dal ‘fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto’”. Come per ogni reato a dolo specifico, l’elemento soggettivo è composito. In primo luogo, occorre il dolo generico, il quale deve sorreggere la condotta, che consiste nell’indicazione in una delle dichiarazioni relative a dette imposte di elementi passivi fittizi, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni soggettivamente inesistenti; l’agente, quindi, deve deliberatamente indicare nella dichiarazione fiscale elementi passivi che sa essere fittizi, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni della cui soggettiva inesistenza è consapevole. È stato osservato, peraltro, che non vi sono ostacoli alla configurabilità del dolo eventuale laddove l’agente agisca in una situazione di dubbio, accettando così l’eventualità che gli elementi passivi, indicati nelle dichiarazioni, siano fittizi. In altri termini, versa in dolo eventuale l’agente, che, in una situazione di dubbio non risolto circa la fittizietà degli elementi passivi, decide comunque di indicarli nella dichiarazione fiscale. In secondo luogo, è necessario il dolo specifico, che non sostituisce il dolo generico, ma ad esso si affianca, così arricchendo il contenuto dell’elemento soggettivo. Il dolo specifico, costituito dal “fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto”, rappresenta la finalità che deve animare la condotta dell’agente, il cui concreto conseguimento, tuttavia, non è necessario per la consumazione del reato, né essa deve essere necessariamente esclusiva, ben potendo concorrere con altre finalità.

Nel caso in esame, la Suprema Corte ha ritenuto “sussistente il denunciato vizio motivazionale perché gli elementi individuati dalla Corte di merito a sostegno dell’elemento soggettivo, laddove evocano la mera accettazione della carica, la mancata effettuazione di controlli e la sottovalutazione di segnali di allarme, sono indicativi non del dolo, nemmeno eventuale, ma della colpa, anche considerando che, come detto, oggetto di contestazione è l’inesistenza soggettiva delle operazioni indicate nelle fatture, posto che, come ritenuto dalla Corte di merito, la società rappresentata dall’imputato era realmente operativa nel settore del commercio all’ingrosso di apparecchi e materiali telefonici (…). In altri termini, dato che le transazioni economiche erano effettive, la Corte di merito non spiega da quali elementi di fatto l’imputato possa aver tratto la consapevolezza (o, quantomeno, versasse in una situazione di dubbio irrisolto), in ordine al reale fornitore della prestazione, posto che l’aver omesso la doverosa attività di controllo sulle fatture, come ritenuto dalla Corte di appello (…), giustifica un rimprovero per colpa, essendo incentrato sulla violazione del dovere di diligenza che, appunto, incarna la colpa. A tal proposito, non è nemmeno sufficiente, ai fini della sussistenza del dolo, il vorticoso numero di fatture portate in dichiarazione da I., come ritenuto dalla Corte d’appello (…), perché, stante, si ribadisce, l’accertata operatività della società e l’effettività delle operazioni indicate in fatture, esso è un elemento del tutto neutro rispetto all’esatta individuazione del fornitore. Allo stesso modo, l’aver accettato di divenire legale rappresentante della società dietro compenso, sapendo che la gestione sarebbe rimasta nelle mani del N. (…), non è certamente elemento sufficiente per fondare la responsabilità per dolo, perché esso sarebbe desunto dalla mera carica rivestita, ciò che integra una inaccettabile, per dettato costituzionale ex art 27, comma 1, cost., responsabilità di posizione”.

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REATO DI DICHIARAZIONE FRAUDOLENTA E RESPONSABILITA’ PENALE DEL PRESTANOME

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