a cura di Rossella Ceccarini

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione V Penale, sentenza n. 42582 del 04.10.2024 depositata il 20.11.2024

La Quinta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 42582 depositata il 20 novembre 2024, ha affermato che i presupposti della revocazione della confisca di prevenzione sono stati chiaramente delineati dalle Sezioni Unite, che, con la sentenza Lo Duca (sent. n. 43668 del 26 maggio 2022), hanno affermato il seguente principio di diritto: “in tema di confisca di prevenzione, la prova nuova, rilevante ai fini della revocazione della misura ai sensi dell’art. 28, comma 2, D.L.vo 6 settembre 2011, n. 159, è sia quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, sia quella preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva, mentre non lo è quella deducibile e non dedotta nell’ambito del suddetto procedimento, salvo che l’interessato dimostri l’impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore”.

La questione sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione riguarda un ricorso avverso il decreto emesso dalla Corte d’Appello di Catanzaro che aveva dichiarato inammissibile l’istanza, avanzata da (…), di revocazione della confisca di prevenzione di una somma di denaro disposta, con decreto del Tribunale di Reggio Calabria, parzialmente confermato dalla Corte d’Appello e divenuto definitivo, nell’ambito del procedimento di prevenzione nei confronti del coniuge. Il ricorrente deduceva violazione di legge e vizio di motivazione. Secondo la Suprema Corte, la pronuncia di merito ha precisato che, nel procedimento di revocazione, a differenza di quanto avviene per il procedimento di revisione, la valutazione della decisività della nuova prova deve essere effettuata alla luce della previsione di cui all’art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159/2011 e, perciò, solo “nella prospettiva della sua stretta correlazione all’accertamento di un vizio genetico del provvedimento definitivo, ossia di un difetto originario dei presupposti per l’applicazione della misura patrimoniale”. Sotto diverso profilo, invece, le Sezioni Unite hanno affermato che la previsione di un termine, stabilito a pena di inammissibilità dall’art. 28, comma 3, d.lgs. n. 159/2011, entro il quale la richiesta di revocazione deve essere proposta (sei mesi dalla data in cui si verifica uno dei casi che la consentono), nonché l’intero assetto normativo del procedimento di prevenzione portano alla conclusione per cui “le nuove prove che rendono ammissibile il rimedio straordinario devono individuarsi in quelle che non è stato possibile dedurre nell’ambito del procedimento, perché riguardanti fatti decisivi e mezzi per dimostrarli incolpevolmente sconosciuti al momento del giudizio”. In particolare, la previsione di uno stretto termine decadenziale entro cui far valere le deduzioni è “strutturalmente incompatibile con il caso di una prova introdotta nel procedimento ma, in ipotesi, neppure implicitamente valutata, dal momento che, in siffatta evenienza, sarebbe impossibile individuare il dies ad quem da cui far scattare l’operatività del termine”. Pertanto, la Corte ha stabilito che non possono avere rilievo prove già introdotte nel procedimento ma, in ipotesi, neppure implicitamente valutate. Tale scelta del legislatore trova la sua ragione giustificatrice nell’intento di realizzare “una tendenziale stabilizzazione del giudicato in materia di prevenzione patrimoniale, consolidandone gli effetti nel massimo grado possibile”. Le sole prove nuove che rendono ammissibile la revocazione sono quelle formate dopo la conclusione del procedimento di prevenzione, ovvero quelle che non è stato possibile dedurre perché riguardanti fatti all’epoca incolpevolmente sconosciuti, non invece quelle che, “pur accessibili e dunque sottoponibili alla valutazione del giudice nel procedimento, abbiano assunto consistenza o un particolare significato dopo la sua conclusione, anche semplicemente sulla base dell’esperimento delle corrispondenti iniziative difensive”. Gli Ermellini hanno affermato che la sentenza Lo Duca ha, inoltre, aggiunto che la necessità di una “scoperta” successiva implica l’incompatibilità di tale situazione con un precedente comportamento privo dell’ordinaria diligenza da parte dell’interessato, o con un suo atteggiamento meramente omissivo, ai fini della puntuale allegazione di elementi di prova nell’ambito del procedimento di prevenzione concluso con il provvedimento di cui, in seguito, si chiede la revocazione. In altri termini, se, per un verso, deve escludersi che il legislatore abbia inteso attribuire rilievo alle prove acquisite ma non valutate, per altro verso deve ritenersi che quelle deducibili, ma non dedotte, possano supportare una richiesta di revocazione solo quando l’interessato adduca l’impossibilità di provvedere altrimenti per la riscontrata sussistenza di una “causa a lui non imputabile”, secondo la previsione espressamente dettata nell’art. 28, comma 3, d.lgs. n. 159/2011.


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CONFISCA DI PREVENZIONE: LA PROVA NUOVA QUALE PRESUPPOSTO DELLA REVOCAZIONE

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