a cura di Rossella Ceccarini
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione VI Penale, sentenza n. 42983 del 17.09.2024 depositata il 26.11.2024
La Sezione Sesta della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 42983, ha ribadito che, “in materia di misure di prevenzione, la richiesta di controllo giudiziario ex art. 34 bis del d.lgs. n. 159 del 2011, avanzata dall’impresa attinta da interdittiva antimafia, non può essere respinta per insussistenza del prerequisito del pericolo di infiltrazioni mafiose, già accertato dall’organo amministrativo, dovendosi preservare, in pendenza dell’impugnazione avverso la misura prefettizia, l’interesse della parte privata alla continuità dell’attività d’impresa attraverso la sospensione dell’efficacia dei divieti nei rapporti con la pubblica amministrazione e tra privati che discendono dall’interdittiva” (cfr. anche Cass., Sez. VI, n. 27704 del 09.06.2021, Società Cooperativa a.r.l. “Gli Angeli”, Riv. 281822 – 01).
La questione sottoposta alla Suprema Corte trae origine dal decreto emesso dalla Corte d’Appello di Napoli – Sezione Misure di Prevenzione, che aveva confermato il decreto di prevenzione del Tribunale di Napoli, con il quale era stata respinta la richiesta formulata dalla società (…) di essere ammessa al controllo giudiziario ex art. 34-bis, comma 6, d.lgs. n. 159/2011. Sul punto la Corte territoriale aveva sostenuto che l’istanza di applicazione della misura di prevenzione del controllo giudiziario, avanzata dall’impresa raggiunta da interdittiva del Prefetto che abbia impugnato innanzi al giudice amministrativo tale interdittiva, implichi necessariamente una valutazione positiva circa l’effettività del pericolo di infiltrazioni mafiose, non potendo tale richiesta essere accolta laddove l’impresa richiedente risulti estranea ai tentativi di infiltrazione e non esposta a tale pericolo. Avverso tale decreto, presentava ricorso per cassazione il legale rappresentante della società invocando violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione e ritenendo sussistenti i presupposti per l’applicazione della disciplina ex art. 34-bis d.lgs. n. 159/2011.
Gli Ermellini, con la sentenza n. 42983, richiamando la propria precedente pronuncia n. 27704 del 9 giugno 2021, hanno precisato che, con riferimento al rapporto tra interdittiva antimafia del Prefetto e misura di prevenzione del controllo giudiziario, la questione è stata già affrontata in modo costante nella giurisprudenza di legittimità, nel senso di escludere ogni automatismo, ma di ritenere che il Tribunale della prevenzione possa accogliere l’istanza del titolare dell’impresa solo se reputi sussistenti i presupposti previsti per l’applicazione della misura del controllo giudiziario, ovvero l’occasionalità dell’agevolazione mafiosa e l’impugnazione del provvedimento prefettizio innanzi al giudice amministrativo. Secondo la Corte Suprema, qualora l’impresa sia fortemente condizionata da ingerenze mafiose, non può trovare accoglimento l’istanza, che presuppone un’occasionalità del contatto mafioso. Ciò non significa, però, che l’istanza avanzata dalla stessa impresa possa essere rigettata escludendo in radice il pericolo di infiltrazione mafiosa, perché tale pericolo è stato già oggetto di valutazione in sede amministrativa. È solo ove il pericolo di infiltrazione sia ritenuto più grave dal giudice della prevenzione che si può giustificare il rigetto, non certamente quando tale pericolo dovesse essere ritenuto addirittura inesistente perché, in tal caso e a maggior ragione, si giustificherebbe l’accoglimento dell’istanza volta ad assicurare la continuità dell’impresa attraverso la sua sottoposizione a controllo giudiziario. In altri termini, il presupposto dell’occasionalità di infiltrazione mafiosa deve essere valutato come condizione ostativa solo se il pericolo di ingerenza mafiosa sia maggiore e più grave, perché non rimediabile con il semplice controllo giudiziario, ma non quando tale pericolo sia considerato addirittura inesistente, quando è l’impresa stessa che richiede di sottoporsi a tale “messa alla prova” proprio per dimostrare nei fatti di non essere mafiosa o comunque di essere capace di “emendarsi”, attesi i poteri di controllo che l’applicazione della misura di prevenzione comporta. Il prerequisito dell’infiltrazione mafiosa deve quindi sempre essere valutato dal giudice e, nel caso di ipotetica insussistenza di ogni rischio, la richiesta della parte privata non può mai essere respinta.