a cura di Rossella Ceccarini
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione II Penale, sentenza n. 44816 del 15.10.2024 pubblicata il 06.12.2024
La Sezione Seconda della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 44816 pubblicata il 6 dicembre 2024, ha ribadito che, in tema di autoriciclaggio, è configurabile la condotta dissimulatoria nel caso in cui, successivamente alla consumazione del delitto presupposto, il reinvestimento del profitto illecito in attività economiche, finanziarie o speculative sia attuato attraverso il mutamento dell’intestazione soggettiva del bene, in quanto la modifica della formale titolarità del profitto illecito è idonea ad ostacolare la sua ricerca, l’individuazione dell’origine illecita ed il successivo trasferimento.
La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte riguarda un ricorso avverso una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano che aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale del capoluogo meneghino aveva riconosciuto l’imputata (…) responsabile del delitto di autoriclaggio. Ricorreva per cassazione (…) deducendo mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, violazione di legge processuale e manifesta illogicità e contraddittorietà.
La Suprema Corte, nelle proprie motivazioni, ha richiamato in particolare quanto precisato dalla medesima Sezione Seconda con la sentenza n. 16059 del 18 dicembre 2019, con la quale ha chiarito che “deve conseguentemente essere escluso che l’avvenuta identificazione delle operazioni di dissimulazione del denaro o del bene illecito, frutto della consumazione del delitto presupposto da parte dello stesso autore di detto reato, escludano la punibilità della condotta perché prive di concreta capacità decettiva; una tale interpretazione radicale finirebbe per escludere la punibilità di qualsiasi condotta per il solo fatto della successiva verificazione e ricostruzione della stessa e comporterebbe la irragionevole conseguenza di dovere affermare la non applicabilità della norma penale di cui all’art. 648-ter.1 c.p. a qualsiasi fatto accertato”. La finalità ultima cui risponde l’incriminazione della condotta di autoriciclaggio è quella di congelare il profitto in mano al soggetto che ha commesso il reato-presupposto, in modo da impedirne la sua utilizzazione maggiormente offensiva, ovvero quella che espone a pericolo o addirittura lede l’ordine economico; è stato perciò escluso che potesse integrare il delitto in esame il versamento del profitto di furto su conto corrente o su carta di credito prepagata intestati allo stesso autore del reato presupposto, mentre la modifica della formale intestazione integra quella condotta di sostituzione del proprietario o utilizzatore del bene idonea ad ostacolare l’origine illecita dello stesso e si profila quale ipotesi astrattamente punibile (cfr., in tal senso, Cass. pen., Sez. II, 14 luglio 2016, n. 33074); se, poi, il trasferimento ad altre imprese è attuato con l’intestazione del profitto illecito ad un soggetto giuridico diverso, sia esso una persona fisica ovvero una società di persone o capitali, vi è la possibilità di ritenere la condotta dissimulatoria proprio perché, mutando la titolarità giuridica del profitto illecito, la sua apprensione non è più immediata e richiede la ricerca ed individuazione del successivo trasferimento. Ancora, la Suprema Corte ha ricordato che il legislatore ha giudicato rilevante, ai fini dell’integrazione del delitto di autoriciclaggio, non soltanto l’impiego ma anche il trasferimento del denaro in attività economiche.