a cura di Rossella Ceccarini

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione II Penale, sentenza n. 43662 del 18.09.2024 pubblicata il 28.11.2024

La Seconda Sezione della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 43662 depositata il 28 novembre 2024, si è interrogata sulla possibilità di configurare il reato previsto e punito dall’art. 603-bis c.p. in relazione ai rapporti contrattuali ed al tipo di attività lavorativa “intellettuale” e ha ricordato che il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro nasce in ambito agricolo e non può essere applicato al lavoro intellettuale.

La questione deriva da un ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale per la libertà di Palermo che aveva rigettato la richiesta di riesame proposta da (…) confermando l’ordinanza del G.I.P. di Termini Imerese con cui era stata applicata nei confronti dell’indagata la misura cautelare degli arresti domiciliari per i reati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603-bis c.p.) e di estorsione aggravata (art. 629 c.p.). L’indagata, quale presidente del Consiglio di amministrazione di una società cooperativa esercente attività di istruzione secondaria, sottoponeva i lavoratori a condizioni di sfruttamento approfittando dello stato di bisogno, costringeva taluni dipendenti a restituire la retribuzione ricevuta ovvero a lavorare sottopagati con minaccia consistita nel prospettare la mancata riassunzione in occasione di successivi rinnovi contrattuali.

Secondo la Suprema Corte, occorre soffermarsi sulla genesi della norma (art. 603-bis c.p.), introdotta con un decreto legge (art. 12, d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito poi dalla l. 14 settembre 2011, n. 148, recante misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo) quale risposta al sempre più allarmante fenomeno del caporalato agricolo, soprattutto nelle campagne meridionali, che aveva dato luogo, quale immediato antefatto, allo sciopero dei lavoratori migranti occupati come braccianti nell’area di Nardò. È opportuno ricordare che, inizialmente, tale attenzione all’esigenza di reprimere il fenomeno del caporalato nel mercato del lavoro dei braccianti agricoli si esprimeva in una norma strutturata solo sulla fattispecie specifica dell’intermediazione illecita e che solo a distanza di cinque anni, con disposizione inserita in una legge dedicata al settore agricolo (art. 1 l. n. 199/2016, contenente “Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo”), tale norma fu ampliata e ristrutturata per ricomprendervi altresì le condotte di chi direttamente “utilizza, assume o impiega manodopera (…) sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno”. Secondo la Corte, la norma non può essere estesa per punire fattispecie originariamente non ipotizzate dal legislatore. Vi ostano, non tanto il divieto di interpretazione analogica nel settore penale, quanto la collocazione della disposizione ed il testo stesso della norma. Sotto il primo profilo, la disposizione, nella specifica declinazione applicata nel caso concreto, è stata introdotta da una legge mirata al “contrasto ai fenomeni (…) dello sfruttamento del lavoro in agricoltura” ed è inserita in un tessuto normativo costituito da reati come la riduzione in schiavitù, la tratta di persone, il traffico di organi prelevati da persone vive (oltre che la prostituzione e la pornografia minorili), vale a dire reati che colpiscono, su una scala elevatissima, la “personalità” individuale, fino al punto di annullarla. Secondariamente, e soprattutto, è il dato testuale a precludere l’applicazione della norma a categorie di lavoro che, avvalendosi di prestazioni intellettuali, esulano in radice dalla categoria dei lavori manuali, siano essi in ambito agricolo o artigianale o industriale. La norma, infatti, si riferisce al reclutamento o all’utilizzazione di “manodopera”, termine semanticamente legato alla manualità e generalmente alla prestazione di lavoro privo di qualificazione (tanto che, ove le qualità manuali e realizzative aumentino, si parla di “manodopera specializzata”), nome collettivo all’interno del quale l’individuo e le sue capacità perdono significato a fronte della potenzialità produttiva che il gruppo di lavoratori può esprimere. Tutto ciò è estraneo al lavoro intellettuale, tanto se esercitato in forma subordinata che nella libera professione, poiché l’intelletto ed il suo uso costituiscono elemento identitario ed individualizzante che non può essere svilito, disperdendolo nella categoria generica della manodopera.


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IL REATO DI INTERMEDIAZIONE ILLECITA E SFRUTTAMENTO DEL LAVORO NON E’ CONFIGURABILE IN CASO DI PRESTAZIONE INTELLETTUALE

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