A cura di Rossella Ceccarini
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione Terza Penale, sentenza n. 1220 del 29.10.2024 depositata il 13.01.2025
La Terza Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1220 depositata il 13 gennaio 2025, ha chiarito che i consulenti fiscali possono essere ritenuti penalmente responsabili anche per concorso nella realizzazione di modelli fraudolenti.
La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte riguarda un ricorso avverso una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Lecce che aveva riformato solo parzialmente una sentenza del GUP del Tribunale di Brindisi che aveva condannato una consulente fiscale accusata di concorso in frode fiscale per avere elaborato e commercializzato modelli fraudolenti che utilizzavano crediti inesistenti in compensazione fiscale. Le operazioni, seriali e ripetitive, avevano causato un danno erariale di circa 2 milioni di euro. Per mezzo del ricorso per cassazione la difesa sosteneva che la consulente non fosse responsabile in quanto mancava un concorso effettivo con i beneficiari delle frodi e la condotta si limitava ad un infedele adempimento fiscale. Si contestava inoltre la sussistenza dell’aggravante prevista dall’art. 13-bis d.lgs. n. 74/2000.
Con la sentenza n. 1220 la Corte ha sottolineato quanto segue: a) “l’art. 13-bis, comma 3, D.lgs. n. 74 del 2000, come modificato dall’art. 12 del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, dispone: ‘Le pene stabilite per i delitti di cui al titolo II sono aumentate della metà se il reato è commesso dal concorrente nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale’”; b) “è stato affermato che la circostanza di cui all’art. 13-bis, comma 3, D.lgs. n. 74 del 2000 sviluppa le indicazioni della legge delega, la quale precede la revisione delle sanzioni sulla base anche di ‘criteri di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti’, perché attribuisce specifico rilievo a condotte che si manifestano ‘attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale’, e che, quindi, sono dotate di caratteri di diffusività e sistematicità, e, come tali, connotate da particolare pericolosità (Cass., Sez. 3, n. 23335 del 28.1.2021)”. I giudici di Cassazione hanno messo in evidenza, inoltre, che “la giurisprudenza è concorde nel rilevare la necessità di un duplice presupposto, uno soggettivo, concernente la qualifica soggettiva dell’agente, e l’altro oggettivo, riguardante la tipologia della condotta contestata, nonché la necessità della serialità e ripetitività della stessa (cfr., per tutte, Cass., Sez. 3, n. 36212 del 3.4.2019 e Cass., Sez. 3, n. 1999 del 14.11.2017)”. Sempre secondo gli Ermellini, la “serialità” può consistere “nel ricorso a iniziative elusive sistematiche, perché già sperimentate in casi analoghi, e perché comunque riproducibili in futuro a beneficio di altri potenziali evasori”, quale “adesione a un ben preciso modello comportamentale che, in quanto elaborato o applicato da un esperto del settore, denota la maggiore pericolosità del fatto, stante anche la possibilità di replica del sistema di operazioni preordinate all’illecito in favore di una pluralità indifferenziata di altri utenti” (così Cass., Sez. 3, n. 36212 del 2019). Ed ancora, “l’elaborazione (…) di modelli di evasione fiscale può consistere in un’attività di svolgimento e di sviluppo, in concreto, di uno schema procedimentale di evasione fiscale, quale adesione ad un ben preciso modello comportamentale, sempre che tale attività sia svolta in modo seriale e ripetitivo, oltre che da un professionista o un intermediario finanziario o bancario nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale, o in concorso con un soggetto dotato di una delle qualità appena precisate (Cass., Sez. 3, n. 2351 del 18.11.2022)”. Secondo la Suprema Corte, quindi, “i giudici di merito hanno correttamente affermato la responsabilità della ricorrente (cfr., Cass., Sez. 3, n. 1999 del 14.11.2017, secondo cui il consulente fiscale è responsabile, a titolo di concorso, per la violazione tributaria commessa dal cliente, quando, in modo seriale, ossia abituale e ripetitivo, attraverso l’elaborazione e commercializzazione di modelli di evasione, sia stato il consapevole e cosciente ispiratore della frode, anche se di questa ne abbia beneficiato il solo cliente); ed altrettanto correttamente hanno ritenuto la sussistenza dei presupposti necessari per la sussistenza dell’aggravante, mettendo in luce, sulla base dei plurimi, univoci e convergenti elementi richiamati, come il descritto modello di compensazione indebita fosse elaborato da un professionista e suscettibile di essere utilizzato ripetutamente, per più anni di imposta in favore di un cospicuo numero di ditte contribuenti”.