a cura di Rossella Ceccarini

CORTE DI CASSAZIONE, Sezioni Unite Penali, sentenza n. 11969 del 28.11.2024 pubblicata il 26.03.2025

Le Sezioni Unite Penali della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11969 pubblicata il 26.03.2025, hanno affrontato le seguenti questioni: a) “se nell’ambito applicativo del reato di cui all’art. 316-ter c.p., rientri l’indebito conseguimento della riduzione dei contributi previdenziali dovuti ai lavoratori in mobilità assunti dall’impresa, per effetto della mancata comunicazione, da parte di quest’ultima, dell’esistenza di una condizione ostativa prevista dalla legge (art. 8, l. 23 luglio 1991, n. 223 e successive modifiche)”; b) “se, in caso di reiterate percezioni periodiche di contributi erogati dallo Stato, il reato di cui all’art. 316-ter c.p. debba considerarsi unitario, con la conseguenza che la relativa consumazione cessa con la percezione dell’ultimo contributo, ovvero se, in tali casi, sussistano plurimi reati corrispondenti a ciascuna percezione”.

Il caso concreto sottoposto al vaglio delle Sezioni Unite concerne la società (…), che aveva beneficiato di riduzioni contributive per oltre 200 lavoratori in mobilità per un importo pari a circa 3,3 milioni di euro di risparmi, non dovuti in quanto “i rapporti di lavoro erano stati instaurati, ed erano poi proseguiti, alle dipendenze di imprese che, pur apparendo formalmente diverse, erano di fatto riconducibili l’una all’altra”. La società ricorrente aveva presentato la richiesta di agevolazione contributiva nell’ambito del P.O.R. Puglia 2000-2006 sulla base di documentazione che non chiariva il rispetto dei requisiti di legge e, proprio a causa di tale omissione, l’Inps aveva ritenuto sussistenti i requisiti richiesti dalla legge, cosicché la società ricorrente, che aveva assunto la maggior parte della forza lavoro (proveniente dalla precedente s.p.a.), aveva potuto fruire dei benefici previsti dalla l. 223/1991.

Secondo le Sezioni Unite, l’ambito di applicazione della fattispecie di reato prevista dall’art. 316 ter c.p. è stato progressivamente delineato dalla Corte costituzionale e dalle stesse Sezioni Unite. Con l’ordinanza n. 95 dell’8 marzo 2004 la Corte costituzionale ha affermato il carattere sussidiario e residuale del reato rispetto all’affine fattispecie di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche prevista dall’art. 640 bis c.p., ponendo in rilievo che, alla luce della finalità generale del provvedimento legislativo che ha introdotto la nuova fattispecie e del dato normativo “assolutamente inequivoco” rappresentato dalla clausola di salvezza dell’art. 640 bis c.p., la norma introdotta nell’art. 316 ter c.p. assicura una tutela aggiuntiva e “complementare” rispetto a quella offerta agli stessi interessi tutelati dall’altra disposizione, “coprendo” in particolare gli eventuali “margini di scostamento” – per difetto – del paradigma punitivo della truffa rispetto alla fattispecie della frode. Con la richiamata decisione, inoltre, è stato rimesso al compito interpretativo del giudice ordinario di accertare, in concreto, se una determinata condotta, formalmente rispondente alla fattispecie dell’art. 316 ter c.p., integri anche la figura descritta dall’art. 640 bis c.p., dovendosi, in tal caso, fare applicazione solo di quest’ultima. Una prospettiva interpretativa, questa, che ha trovato continuità nelle sentenze delle Sezioni Unite Carchivi e Pizzuto che proprio dalle indicazioni offerte dalla Corte costituzionale hanno preso le mosse per chiarire il contenuto del precetto normativo e la portata applicativa della fattispecie in esame, delimitandone il rapporto con altre figure di reato. I principi delineati dalle Sezioni Unite hanno ricevuto una stabile ed uniforme applicazione nella successiva elaborazione giurisprudenziale di legittimità, che ha ritenuto sussumibili nella fattispecie incriminatrice prevista dall’art. 316 ter c.p. varie ipotesi di falsa rappresentazione, da parte del datore di lavoro, della corresponsione di somme ai propri dipendenti in ragione delle loro condizioni soggettive, ovvero in forza di una situazione economica di crisi, in modo da ottenere il conguaglio degli importi fittiziamente indicati con quelli da lui dovuti a titolo di contributi previdenziali ed assistenziali.

Di seguito i principi enunciati dalle Sezioni Unite a soluzione delle questioni interpretative:

1) integra il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche previsto dall’art. 316 ter c.p. l’indebito conseguimento del diritto alle agevolazioni previdenziali ed alla riduzione dei contributi dovuti ai lavoratori collocati in mobilità per effetto della omessa comunicazione dell’esistenza della condizione ostativa prevista dall’art. 8, comma 4 bis, l. 23 luglio 1991, n. 223 (abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 2017, dall’art. 2, comma 71, lett. b), l. 28 giugno 2012, n. 92), senza che assumano rilievo, a tal fine, le modalità di ottenimento del vantaggio economico derivante dall’inadempimento dell’obbligazione contributiva;

2) in tema di indebita percezione di erogazioni pubbliche, nell’ipotesi in cui il diritto alla riduzione dei contributi previdenziali ed alle agevolazioni previste per il collocamento dei lavoratori in mobilità dall’art. 8, l. 23 luglio 1991, n. 223 (abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 2017, dall’art. 2, comma 71, lett. b), l. 28 giugno 2012 n. 92) sia stato indebitamente conseguito per effetto di un’originaria condotta mendace od omissiva, il reato è unitario a consumazione prolungata quando i relativi benefici economici siano concessi o erogati in ratei periodici ed in tempi diversi, con la conseguenza che la sua consumazione cessa con la percezione dell’ultimo contributo.


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INDEBITA PERCEZIONE DI RIDUZIONI DEI CONTRIBUTI PREVIDENZIALI: SI PRONUNCIANO LE SEZIONI UNITE