A cura della Redazione

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione V Penale, Sentenza n. 47388 del 24 ottobre 2022 – depositata il 15 dicembre 2022

La Sezione V della Suprema Corte con la sentenza n. 47388, nel disporre l’annullamento con rinvio del decreto della Corte di Appello di Torino (limitatamente alla misura ablativa), ha evidenziato la rilevanza di una necessaria verifica dei beni acquisiti e ricadenti nell’arco temporale della pericolosità del soggetto e del momento iniziale del rapporto con il sodalizio mafioso.

Il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte concerne l’impugnazione di un decreto emesso l’11 novembre 2021, con cui la Corte d’Appello di Torino confermava il decreto del Tribunale di Torino-Sezione Misure di prevenzione datato 18 gennaio 2021, attraverso cui è stata applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale per la durata di anni quattro con obbligo di soggiorno e contestualmente disposta la confisca dei beni, di proprietà di un soggetto e della di lui consorte, già oggetto di sequestro anticipato del 12 febbraio 2020.

La Suprema Corte ha rilevato la fondatezza dei motivi presentati dal ricorrente esclusivamente per ciò che attiene l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, con assorbimento delle correlate censure proposte dalla moglie. Il ricorso lamentava la dilatazione dell’ambito di estensione della misura di prevenzione patrimoniale a cespiti di terzi di cui è risultata smentita in sede processuale l’interposizione fittizia.

La Cassazione ha evidenziato come debba sussistere in maniera imprescindibile un nesso di derivazione causale tra l’attività illegale e l’acquisizione del bene.

In altri termini ci si riferisce ai beni derivanti da un’attività imprenditoriale che, pur non giovandosi direttamente di immissioni di capitali di origine illecita, tragga dal rapporto con il sodalizio mafioso rilevanti vantaggi nel relativo svolgimento, giacché, in tal caso, l’impresa funge da strumento per il perseguimento dei fini delittuosi dell’associazione mafiosa, operando al contempo nell’interesse del sodalizio.

Infatti, al fine di apportare un correttivo a siffatto criterio di derivazione, di tipo causale, che, se applicato in modo assoluto ed acritico, condurrebbe ad un’indiscriminata estensione delle misure ablative, le Sezioni Unite, con la “sentenza Spinelli” (n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Rv. 262605), hanno già affermato come la pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, sia anche misura temporale del suo àmbito applicativo; ne consegue che, con riferimento alla c.d. “pericolosità qualificata”, il giudice dovrà accertare se questa investa, come ordinariamente accade, l’intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità sociale, al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti i beni riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato

Pertanto, come avallato dalla giurisprudenza più recente emanata dalla stessa Corte (Cass. pen., n. 10983/2019, Lo Gefro; Cass. pen., n. 32688/2018, Isgrò), nelle imprese definite “a partecipazione mafiosa”, nelle quali il titolare non è un prestanome ma rappresenta i propri interessi, è necessario accertare, ai fini della determinazione dei patrimoni confiscabili, se vi sia stato un inquinamento del ciclo aziendale e da quale momento ciò sia avvenuto.

Sulla base di tali assunti, la Suprema Corte ha evidenziato come assume rilievo, allora, verificare i beni acquistati e ricadenti nell’arco temporale della pericolosità del medesimo e del momento iniziale del rapporto con il sodalizio mafioso.

Osserva quindi la Cassazione come la Corte d’Appello di Torino, al contrario, non ha verificato se i singoli beni oggetto di ablazione si riferissero ai diversi segmenti temporali connotati da diverso profilo di pericolosità, né ha specificato se le plurime operazioni societarie, ricostruite nel decreto, presentassero una qualche aderenza al contesto mafioso. Inoltre, non risulta specificato se, e in che misura, acquisti originariamente leciti o cessioni in ambito familiare da danti causa estranei ad attività illecite si siano giovati dell’ausilio e della protezione mafiosa.

Siffatti profili di criticità impongono la loro soluzione, al fine di precisare fino a che punto la misura ablativa possa legittimamente estendersi a tutti i cespiti in disamina.

La confisca di prevenzione di un complesso aziendale, infatti, non può essere disposta solo con riferimento alla quota ideale riconducibile all’utilizzo di risorse illecite, non potendosi distinguere, in ragione del carattere unitario del bene, l’apporto di componenti lecite, riferibili all’iniziativa imprenditoriale, da quello imputabile a mezzi illeciti, specie quando il consolidamento e l’espansione dell’attività economica siano stati agevolati dall’organizzazione criminale (così, in motivazione, Sez. 2, n. 31549 del 06/06/2019; Sez. 6, n. 7072 del 14/07/2021, dep. 2022, Zunnmo, Rv. 283462).

Sulla base di tali principi, la Suprema Corte ha annullato il provvedimento impugnato limitatamente alle misure di prevenzione reali con rinvio per un nuovo esame alla Corte d’Appello di Torino sui punti indicati.


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CONFISCA DI PREVENZIONE NELLE IMPRESE A PARTECIPAZIONE MAFIOSA
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