A cura della Redazione
CONSIGLIO DI STATO, Sezione III, Sentenza n. 491 del 16.01.2023
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 491 del 16.01.2023, ha accolto il ricorso proposto dal Ministero dell’Interno e ha affermato “che il delitto di cui all’art. 452-quaterdecies c.p. rientra tra i reati elencati dall’art. 51, comma 3 bis, c.p.p. – disposizione questa espressamente richiamata all’art. 84, comma 4, lett. a), D.L.vo 6 settembre 2011, n. 159, nell’ambito della tipizzazione delle ipotesi di c.d. delitti-spia – dei quali l’Autorità prefettizia è tenuta ad emettere la cautela antimafia, pur in assenza di un accertamento definitivo in sede penale e, quindi, anche ad uno stadio assolutamente preliminare quale quello delle indagini preliminari, coerentemente con la finalità marcatamente preventiva dell’istituto”.
Il caso sottoposto al vaglio del Consiglio di Stato riguarda la richiesta formulata dalla Prefettura di Latina e dal Ministero dell’Interno, di riforma di una sentenza emessa dal Tar del Lazio che aveva accolto il ricorso proposto da una società avverso il rigetto di rinnovo di iscrizione nella white list di cui all’art. 1, comma 52, L. 6 novembre 2012, n. 190 per le attività di trasporto materiali a discarica per conto terzi e smaltimento dei rifiuti conto terzi. Il Tar aveva motivato l’accoglimento del ricorso affermando che la condanna per il reato ambientale di cui all’art. 452-quaterdecies c.p. non configura un reato fine dell’art. 416 c.p. e quindi non risulta ostativo della permanenza nella “white list”.
Il Consiglio di Stato nelle motivazioni poste alla base dell’accoglimento del ricorso afferma che: “la gravità della condotta contestata è tale che potrebbe di per sé sola comportare una legittima misura preventiva (il diniego di iscrizione nella White list): “il delitto di cui all’art. 260 del D.L.vo n. 152/2006 costituisce elemento di per sé bastevole a giustificare il diniego (…), perché il disvalore sociale e la portata del danno ambientale connesso al traffico illecito di rifiuti rappresentano, già da soli, ragioni sufficienti a far valutare con attenzione i contesti imprenditoriali, nei quali sono rilevati, in quanto oggettivamente esposti al rischio di infiltrazioni di malaffare che hanno caratteristiche e modalità di stampo mafioso’ (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 1315/2017, n. 6618/2012, n. 1632/2016, n. 4555/2016, n. 4556/2016, n. 1109/2017) (…) La commissione di reati afferenti l’attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 260, D.L. vo n. 152/2006 (ora art. 452-quaterdecies c.p.) e inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis sono considerati, nel contrasto alla criminalità organizzata, reati spia del pericolo di infiltrazione mafiosa nell’impresa. Ebbene, come parte della giurisprudenza del Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire, la commissione dei c.d. “reati spia” sarebbe già da sola sufficiente ad integrare il rilascio delle cautele antimafia, senza necessità di approfondimenti ulteriori. Per altro verso, il combinato disposto tra le lettere d) ed e) dell’art. 84, comma 4, e l’art. 91, comma 6, del Codice n. 159 del 2011 istituiscono un vero e proprio meccanismo di chiusura, che consente al Prefetto di valutare qualsiasi elemento da egli ritenuto sintomatico del rischio di infiltrazione mafiosa. L’art. 84, comma 4, lett. d) ed e), difatti, stabilisce che tale rischio può essere desunto da accertamenti ritenuti opportuni e posti in essere dal Prefetto competente, con possibilità di delega alle Prefetture di altre province (in caso di indagini da effettuarsi nel territorio di relativa competenza). L’art. 91, comma 6, inoltre, consente al Prefetto di ‘desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata”.
La motivazione del Consiglio di Stato continua affermando che “attraverso le poc’anzi menzionate disposizioni, il pericolo di infiltrazione mafiosa può essere desunto da qualunque elemento ritenuto sintomatico secondo la valutazione discrezionale del Prefetto, oltre che da provvedimenti di condanna per reati ugualmente strumentali all’attività delle organizzazioni criminali (ma non elencati tra quelli “spia”), da valutarsi unitamente ad ulteriori fattori che rendano concreto detto pericolo. La discrezionalità amministrativa conferita dalle norme in esame ha indotto la giurisprudenza ad elaborare criteri per stabilire la legittimità delle valutazioni compiute in sede di interdittiva: la valutazione compiuta dal Prefetto è ‘sindacabile in sede giurisdizionale in caso di illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti’, mentre al giudice amministrativo è precluso l’accertamento dei fatti posti a fondamento dell’atto. È vero che a fronte di tali gravi condotte il Legislatore ha posto una presunzione relativa di esistenza di legami con la criminalità organizzata, facendo ricadere tuttavia sul soggetto attinto dalla misura di rigore la possibilità di fornire elementi di una elevata consistenza e di una serietà tali da fugare ogni sospetto e ogni dubbio”.