A cura della Redazione
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione Tributaria, sentenza n. 1946 del 13 ottobre 2022 depositata il 23 gennaio 2023
La Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con la sentenza n. 1946 del 13.10.2022 depositata il 23.01.2023, accogliendo il ricorso dell’amministratore raggiunto da un avviso di accertamento per oltre 14 milioni di euro per violazioni fiscali imputabili alla società ha ricordato che, con l’introduzione dell’art. 7 d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito poi in l. 24 novembre 2003, n. 326, secondo cui “le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica”, si è posta la questione se la suddetta disciplina, nell’innovare le regole dettate dal d.lgs. n. 18 dicembre 1997, n. 472, e in particolare dall’art. 11 – che prima della modifica prevedeva l’obbligo solidale del pagamento della sanzione tra l’ente, la società o l’associazione, nel cui interesse l’autore della violazione aveva agito, e l’autore medesimo -, avesse definitivamente escluso l’esigibilità della sanzione dalla persona fisica, identificando esclusivamente nella compagine sociale l’unico soggetto passivo, quando dotato di personalità giuridica. Si tratta di una questione la cui soluzione non è scontata, e ciò al di là dell’apparente chiarezza del testo normativo, tanto più che il comma 3 del citato art. 7 prevede che “nei casi di cui al presente articolo le disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, si applicano in quanto compatibili”. In definitiva, la Corte afferma che “la finta esistenza della compagine sociale non può essere il risultato di affermazioni assiomatiche, ma di un convincimento fondato su riscontri probatori, certamente più ampi ed incisivi rispetto al rapporto società cartiera – società inesistente”.
Nello specifico, il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte traeva origine da una verifica e successivo processo verbale di constatazione redatto da militari della GdF, da cui era emerso un sistema di frodi carosello. L’Agenzia delle Entrate ha quindi rideterminato l’imponibile della società e, ritenendo che il ricorrente (unitamente ad altri due soggetti) ne fosse l’amministratore di fatto, ha richiesto il pagamento delle sanzioni. A seguito di ricorso, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia confermava l’avviso di accertamento con cui venivano estese all’amministratore di fatto di una S.r.l. le sanzioni amministrative conseguenti alle violazioni fiscali (frodi carosello) imputabili alla società. Successivamente veniva proposto ricorso in Cassazione dolendosi della violazione dei limiti applicativi del sistema sanzionatorio a carico delle persone giuridiche.
La Suprema Corte nelle motivazioni della sentenza n. 1946/2023 afferma che: “la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il principio secondo cui le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario, proprio di società o enti con personalità giuridica, ex art. 7, D.L. n. 269 del 2003, sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando essa sia gestita da un amministratore di fatto non opera nell’ipotesi di società ‘cartiera’, atteso che, in tal caso, la società è una mera fictio, utilizzata quale schermo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a personale vantaggio dell’amministratore di fatto, con la conseguenza che viene meno la ratio che giustifica l’applicazione del suddetto art. 7, diretto a sanzionare la sola società con personalità giuridica, e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito (Cass. civ. 20 ottobre 2021, n. 29038; 22 novembre 2021, n. 36003; cfr. anche 25 luglio 2022, n. 23231). Le argomentazioni e le conclusioni cui perviene la giurisprudenza di legittimità, che questo collegio condivide ed a cui intende dare continuità, sono il punto di arrivo di una esegesi della disciplina, che era pur partita da contrastanti letture, alcune più favorevoli all’abbandono di ogni prospettiva non aderente all’apparente semplicità del testo dell’art. 7 cit. (Cass. civ. 25 ottobre 2017, n. 25284; 13 novembre 2018, n. 29116; indirettamente, 23 aprile 2014, n. 9122), altre che invece ritenevano coerente con il sistema delle regole sulla responsabilità, ed imprescindibile nell’interpretazione dello stesso art. 7 cit., distinguere le ipotesi in cui l’amministratore, anche di fatto, avesse operato nell’interesse della società, da quelle in cui la società fosse solo una finzione, costituita da una persona fisica quale paravento delle proprie condotte, illecitamente incidenti sugli obblighi fiscali (Cass. civ. 28 agosto 2013, n. 19716; 8 marzo 2017, n. 5924; 18 aprile 2019, n. 10975). Per questo secondo orientamento, che la Suprema corte ritiene più corretto, il distinguo dunque si pone nella ‘decodificazione’ della società, se essa cioè sia vera, se abbia vita e finalità economiche distinte da quelle del suo amministratore, o si riveli lo strumento artificioso, cui una persona fisica ricorre proprio per sottrarsi alle sanzioni. Il che, è ben comprensibile, non rappresenta alcuna forzatura del dato letterale dell’art. 7 cit., trovando anzi all’interno della norma medesima la sua ratio”.