A cura di Rossella Ceccarini
CONSIGLIO DI STATO, Sezione III, sentenza n. 4856, udienza del 02/02/2023 pubblicata il 16.05.2023
La Terza Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 4856 pubblicata il 16.05.2023 nel respingere il ricorso ha affermato che l’interdittiva antimafia può essere adottata all’esito della valutazione di un rischio di inquinamento mafioso fondato sul criterio del “più probabile che non”, con un giudizio che può essere integrato da dati di comune esperienza, considerando elementi anche non penalmente rilevanti o non costituenti oggetto di procedimenti o di processi penali o già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione (cfr. Cons. Stato, sez. III, 7 aprile 2022, n. 2585).
Il caso posto all’esame del Consiglio di Stato riguarda una società (…) che ha impugnato la sentenza emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania con riferimento ad un’interdittiva antimafia. Il T.A.R. aveva respinto il ricorso rilevando l’adeguatezza della motivazione del provvedimento impugnato anche con riferimento alle intervenute archiviazioni che comunque non contenevano accertamenti in senso difforme dai fatti contestati. Contro la suddetta sentenza ha proposto appello la società (…), sostenendo che il provvedimento impugnato si sarebbe fondato su un mero giudizio probabilistico e che il T.A.R. erroneamente non avrebbe valutato la portata delle archiviazioni in sede penale intervenute in favore dei fratelli (…). Inoltre, il signor (…) non avrebbe indirizzato le scelte dell’impresa, risultando anch’esso non contiguo alla criminalità organizzata. Gli indizi presi a base dall’Amministrazione per la conferma dell’interdittiva sarebbero stati pertanto del tutto inattuali.
La società appellante ha prospettato quattro motivi di appello con cui, in sintesi, ha dedotto:
i) l’erroneità della pronuncia del T.A.R. sul mancato rilievo dato all’archiviazione del procedimento penale nei confronti del signor (…); ii) il fatto che gli indizi riferibili alla famiglia (…) sarebbero stati inesatti o comunque superati dai successivi sviluppi delle indagini penali; iii) il fatto che le gare oggetto di turbativa indicate nel provvedimento impugnato sarebbero state risalenti ai primi anni del 2000 ed anche gli altri elementi posti a base dello stesso provvedimento sarebbero stati del tutto inattuali e non idonei a fondare un sospetto di ingerenza mafiosa nell’impresa; iv) il fatto che la vicinanza del signor (…) e della sua famiglia al clan dei Casalesi sarebbe stata affermata dalla Prefettura di Caserta all’esito di un’istruttoria inadeguata.
Il Consiglio di Stato ha precisato che ai fini dell’adozione di un’interdittiva antimafia è sufficiente la presenza di un quadro indiziario e fattuale complessivo che comporti non la certezza, ma il rischio o il pericolo dell’infiltrazione e del condizionamento mafioso nelle scelte gestionali dell’impresa, all’esito di un giudizio di possibilità sulla base di elementi sintomatici che l’attività economica possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata, in quanto il potere amministrativo in questione è uno strumento di prevenzione avanzata e anticipata nel contrasto della criminalità organizzata, che va esercitato con ampio margine di accertamento e di apprezzamento a tutela delle condizioni di sicurezza e di ordine pubblico. Inoltre, in materia l’Amministrazione può dare rilievo ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari, che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del più probabile che non, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto (cfr. Cons. Stato, sez. III, 3 novembre 2022, n. 9558). L’art. 91, comma 5, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 prevede che il Prefetto può estendere gli accertamenti nei riguardi dei soggetti che possono determinare in qualsiasi modo le scelte dell’impresa e che, ai sensi dell’art. 84, comma 4, lett. a), del Codice antimafia, si può desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa “dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli articoli 353, 353-bis, 603-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e di cui all’articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356”. D’altra parte, è stato affermato dalla giurisprudenza amministrativa come nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza. Una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica che si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della “famiglia”, sicché anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire l’influenza dell’associazione (cfr. Cons. Stato, sez. III, 24 aprile 2020, n. 2651). Il Consiglio di Stato ha infine ribadito come il procedimento prefettizio in esame sia del tutto autonomo da quello penale e come gli esiti di quest’ultimo non possono ritenersi condizionanti l’emissione dell’interdittiva, fondata, come detto, su una valutazione induttiva di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, ma l’esistenza di un quadro indiziario ben articolato, che la Prefettura ha adeguatamente vagliato in maniera non illogica (Cons. Stato, sez. III, 7 gennaio 2022, n. 57).