A cura di Rossella Ceccarini

CONSIGLIO DI STATO, Sezione III, sentenza n. 4970 del 13 aprile 2023 pubblicata il 18 maggio 2023

La Sezione III del Consiglio di Stato con la sentenza n. 4970/2023 pubblicata il 18 maggio 2023, respingendo l’appello e confermando la legittimità dei provvedimenti impugnati, afferma che non è illegittima l’applicazione del protocollo di legalità nei confronti di un concessionario di servizio pubblico, giacché, in presenza di un’interdittiva antimafia, la revoca delle autorizzazioni commerciali di cui sia titolare il soggetto attinto dalla medesima costituisce per l’Amministrazione un atto dovuto e non la conseguenza dell’operatività illegittima di un protocollo di legalità.

Il caso sottoposto all’attenzione del Consiglio di Stato trae origine da una sentenza emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio che aveva respinto, ritenendolo infondato, un ricorso per l’annullamento di un’informativa antimafia rilasciata dalla Prefettura di Latina nei confronti di un concessionario di servizio pubblico, ritenendo sussistente un quadro indiziario in grado di evidenziare l’esistenza del pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata tendenti a condizionarne le scelte e gli indirizzi, in conseguenza della quale veniva disposta nei confronti di questi la revoca immediata dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di mediazione. Il concessionario, nel presentare ricorso avanti al T.A.R. Lazio – Sezione staccata di Latina, impugnava, tra gli altri, l’informativa antimafia interdittiva, il protocollo di legalità all’uopo sottoscritto, nonché la segnalazione all’Autorità Anticorruzione e la stessa annotazione nel Casellario Informatico dei contratti pubblici. Il T.A.R. con la sentenza emessa il 3 giugno 2019 valorizzava il contenuto della memoria depositata dalla Prefettura di Latina, da cui emergeva che il soggetto interessato dal provvedimento prefettizio fosse uscito dalla compagine societaria solo pochi mesi prima dell’adozione dello stesso, cedendo le proprie quote ad altro socio, comunque appartenente alla medesima famiglia e rispetto al quale pertanto non poteva dirsi venuto meno il rischio di permeazione criminale. Peraltro, il T.A.R. evidenziava come l’omessa comunicazione delle modificazioni alla compagine societaria rappresentasse l’ulteriore violazione dell’art. 86 d.lgs. n. 159/2011.

Proponeva ricorso al Consiglio di Stato il concessionario (…) censurando non solo il merito delle valutazioni svolte dall’Amministrazione sul rischio di permeazione mafiosa, ma deducendo, inoltre, l’omessa motivazione della sentenza di prime cure sia con riferimento alla natura del soggetto sottoposto al provvedimento di rigore prefettizio e alla conseguente sottoscrizione del protocollo di legalità – a dire dell’appellante viziato quanto all’ambito di applicazione – sia in ordine alla valutazione dei vizi contestati relativamente al provvedimento interdittivo, in quanto la sentenza del primo giudice sarebbe carente, dal punto di vista istruttorio, con riferimento al motivo del ricorso principale di primo grado, con il quale si deduceva l’illegittimità degli atti impugnati per la violazione degli artt. 84 e 91, d.lgs. n. 159/2011, in quanto il giudizio operato dalla Prefettura sarebbe stato inferenziale e deduttivo.

Il Consiglio di Stato ha respinto l’appello motivando – quanto all’asserita omessa motivazione della sentenza di primo grado in ordine alla declaratoria di legittimità dell’interdittiva antimafia – che nel caso di specie non ricorre l’ipotesi della omessa motivazione o della “motivazione apparente”, in quanto la sentenza, sia pur succintamente, ha esternato l’iter logico-giuridico che ha condotto al rigetto del gravame, considerando dirimente l’aspetto relativo alla cessione delle quote, quale espediente per artatamente dimostrare l’insussistenza dei collegamenti e condizionamenti da parte delle organizzazioni criminali. Inoltre – con riferimento ai lamentati vizi propri del protocollo di legalità, per cui avrebbe esteso l’ambito di applicazione del Codice antimafia a soggetti non ricompresi nel novero dei destinatari dei provvedimenti prefettizi – il Consiglio di Stato, nell’affrontare le questioni relative al caso di specie, ha riepilogato i principi generali della materia. Anzitutto, affrontando il tema della natura giuridica del soggetto sottoposto ad interdittiva antimafia, ha chiarito che i concessionari di servizio pubblico, svolgendo una potestà dagli evidenti contenuti pubblicistici, concernenti, nel caso di specie, gli accessi e le condizioni di svolgimento delle attività riferite ad un mercato economico regolato, ben possono sottoscrivere protocolli di legalità. Tali soggetti, siccome assumono e svolgono funzioni di incaricato di pubblico servizio, sono vincolati all’attuazione delle informazioni antimafia prefettizie e ad escludere i soggetti destinatari dalle attività d’interesse pubblico cui detti enti sono preposti, tra le quali rientrano non soltanto la contrattazione ma anche l’accesso a strutture che tale interesse rivestono.

Per cui, a seguito dell’emanazione di un’informativa antimafia, l’amministratore – o, ai fini che qui rilevano l’incaricato di pubblico servizio – non può rilasciare alcun atto abilitativo per lo svolgimento di una qualsiasi attività economica o commerciale e laddove, come nel caso di specie, sia già stato emanato un atto abilitativo, deve esservi il suo ritiro e/o revoca dal momento che si tratta di tipologie di atti i cui effetti sono radicalmente incompatibili con lo status di destinatario di un’interdittiva antimafia. Quindi, in presenza di un’interdittiva antimafia, la revoca delle autorizzazioni commerciali di cui sia titolare il soggetto attinto dalla medesima costituisce per l’Amministrazione un atto dovuto e non la conseguenza dell’operatività illegittima di un protocollo di legalità.


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CONCESSIONARIO DI SERVIZIO PUBBLICO E LEGGITIMITA’ DEL PROTOCOLLO DI LEGALITA’

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