A cura di Rossella Ceccarini

CONSIGLIO DI STATO, Sezione III, sentenza n. 6553 dell’08.06.2023 pubblicata il 05.07.2023

La Terza Sezione del Consiglio di Stato, con sentenza n. 6553 pubblicata il 5 luglio 2023, ha ricordato che affinché possa legittimamente emettersi un provvedimento interdittivo è sufficiente il “tentativo di infiltrazione” avente lo scopo di condizionare le scelte dell’impresa, anche se tale scopo non si è in concreto realizzato. Da tale premessa consegue che, per individuare una siffatta ipotesi di “pericolo”, è sufficiente che gli elementi raccolti, una volta esaminati in modo non atomistico ma unitario “offrano una trama di elementi ‘eloquenti’ tali da indurre, nella loro connessione sinergica, a prospettare una prognosi di rischio di condizionamento mafioso ‘più probabile che non’”.

Il caso trae origine da un appello proposto da una ditta individuale (…) contro una sentenza emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda) che aveva respinto il ricorso avverso un’informazione interdittiva antimafia emessa dal Prefetto di Foggia. Tale impostazione è del tutto coerente con le caratteristiche del fenomeno mafioso, che non necessariamente si concreta in fatti univocamente illeciti, potendo fermarsi alla soglia dell’intimidazione, dell’influenza e del condizionamento latente di attività economiche formalmente lecite. A tale variegata fenomenologia sociale deve corrispondere un costante adattamento dello strumentario deduttivo spendibile nell’attività di indagine antimafia, la quale, per la sua natura cautelare e preventiva, persegue obiettivi di massima anticipazione dell’azione di contrasto, anche avulsi dagli schemi tipici della responsabilità penale. Il descritto assetto di principi trova conferma, poi, sul piano normativo nella previsione dell’art. 84, comma 3, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, la quale riconosce l’elemento fondante l’informazione antimafia nella sussistenza di «eventuali tentativi» di infiltrazione mafiosa «tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate». Nel caso di specie, la consistenza degli elementi indiziari non pare validamente depotenziabile enfatizzando l’assenza di risultanze munite del rigore probatorio dell’accertamento penale, posto che la costante giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito che il pericolo di infiltrazione mafiosa deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere a un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, ma che implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere plausibile il solo “pericolo” di infiltrazione mafiosa e non già l’infiltrazione consumata (v., per tutte, Cons. Stato, Sez. III, nn. 6105/2019 e 758/2019). Il quadro indiziario valutato dall’Autorità prefettizia è, dunque, sufficiente a ritenere ragionevole il rappresentato rischio di condizionamento criminale. La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha in proposito ulteriormente precisato che “posto che lo scrutinio della legittimità degli atti di esercizio del potere prefettizio va condotto secondo criteri valutativi autonomi rispetto a quelli penalistici e che il canone del ‘più probabile che non’ non va evidentemente riferito alla singola circostanza (…), ma piuttosto al pericolo di infiltrazione della cosca nelle attività economiche della società appellante, desunto dai plurimi elementi raccolti, ne consegue che l’irrilevanza penale delle condotte non esclude di rinvenire nelle stesse emergenze altamente sintomatiche (non già nella prospettiva dell’imputazione penalistica (…), ma in quella del pericolo di infiltrazione mafiosa nelle attività economiche dell’impresa)” (Cons. Stato, n. 338/2021). Il Consiglio di Stato ha richiamato la giurisprudenza della medesima sezione che ha anche rilevato che le disposizioni sulle “soglie di valore” nel costituire, in un caso (art. 91, comma 1, d.lgs. n. 159/2011), la fonte di un obbligo assoluto dell’amministrazione procedente e, nell’altro caso (art. 83, comma 3, d.lgs. n. 159/2011), la fonte di un’esenzione da tale obbligo, si propongono di conformare, anche ai fini delle conseguenti responsabilità, il buon andamento delle attività delle Pubbliche amministrazioni procedenti. Non possono, dunque, essere interpretate nel senso che vi sarebbe una diminuzione dell’attenzione del legislatore nei confronti del pericolo di condizionamento delle imprese da parte di associazioni criminali, ostativo all’instaurazione di un rapporto con l’amministrazione. Tale interpretazione, infatti, urterebbe contro la ratio della complessiva disciplina in materia (che mira a delimitare i rapporti economici con le amministrazioni solo quando l’impresa meriti la “fiducia” delle istituzioni) e sovvertirebbe il principio che impone di assicurare, in sede interpretativa, effettività e concretezza alla tutela del bene protetto, soprattutto laddove, come avviene per le informazioni antimafia, questo assuma un ruolo assolutamente primario. Tale essendo la ratio sottesa alla verifica di infiltrazioni mafiose, appare evidente come non possa certo essere inibito all’Amministrazione, a prescindere dal valore della concessione, di verificare, con qualunque mezzo, che alcuna vicinanza ci sia tra i soggetti che con essa vogliano contrattare e le associazioni criminali. Non è certo il valore esiguo della concessione richiesta che può giustificare l’instaurazione di un rapporto di convenzione con una ditta che non merita la “fiducia delle istituzioni”.


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INFORMAZIONE INTERDITTIVA ANTIMAFIA E TENTATIVO DI INFILTRAZIONE MAFIOSA

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