A cura di Rossella Ceccarini

CONSIGLIO DI STATO in sede giurisdizionale, Sezione III, sentenza n. 8606 del 14.09.2023 depositata il 02.10.2023

La vicenda trae origine dalla richiesta avanzata da parte della società (…) di riforma della sentenza emessa dal T.A.R. per la Campania che aveva confermato un’informativa prefettizia interdittiva emessa dall’UTG – Prefettura di Caserta nonché l’ordinanza del S.U.A.P. del Comune di (…) recanti entrambe la sospensione dell’attività svolta dal ricorrente e fondate sulla ipotizzata riconducibilità dell’impresa ricorrente al clan camorristico (…).

La Terza Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 8606 del 14 settembre 2023 pubblicata il 2 ottobre 2023, ha respinto l’appello affermando che la disposizione di cui all’art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159/2011, anticipando la soglia dell’intervento interdittivo ai meri “tentativi di infiltrazione” dell’impresa da parte della criminalità organizzata, si prefigge di apprestare una barriera difensiva (all’ingerenza della mafia nelle attività contrattuali della P.A. o comunque soggette al suo potere di concessione e autorizzazione) invalicabile non solo dalle imprese soggette all’attuale influenza condizionante delle cosche, ma anche da quelle che, sulla base di elementi concretamente significativi, siano esposte al pericolo di condizionamento da parte delle stesse. Tale forma di anticipazione, tipica della tutela amministrativa del contesto economico rispetto al potere inquinante della mafia, nel marcare la differenza del relativo assetto preventivo rispetto al sistema sanzionatorio penale, si presenta affatto irragionevole, in quanto l’effetto inibitorio conseguente all’esercizio del potere interdittivo non ha carattere assoluto, ma circoscritto a determinati settori di attività economica: quelli, come si è detto, in cui è maggiormente avvertita, in ragione del coinvolgimento diretto di interessi pubblici, l’esigenza di limitarne l’accesso a soggetti immuni da qualsiasi forma – anche solo tentata o presunta – di ingerenza mafiosa. La definizione della fattispecie interdittiva sub specie di “tentativi di infiltrazione” non esclude che i relativi presupposti legittimanti siano accertati con il rigore imposto dalla gravità delle conseguenze – pur con i limiti innanzi tratteggiati – derivanti dall’esercizio del potere de quo nei confronti dell’impresa condizionata, fermo restando che la relativa indagine ricostruttiva – ed il connesso controllo di logicità, ragionevolezza e proporzionalità rimesso al giudice amministrativo – non deve tendere a porre in evidenza la presenza della “mano” della mafia sulle leve direttive dell’impresa attenzionata, ma il pericolo che questa possa essere attratta entro la sfera di influenza della criminalità organizzata, muovendosi pericolosamente lungo il crinale che separa il mondo economico “sano” da quello contaminato dalla mafia. La ricostruzione del compendio indiziario che fa da sfondo al provvedimento interdittivo deve ispirarsi – al pari della verifica della sua tenuta logica demandata al giudice amministrativo – a criteri di unità e complessità, con la conseguenza che il relativo giudizio non può non rifuggire, se non quale componente parziale e provvisoria dell’invocato sindacato giurisdizionale, inidonea in quanto tale a giustificare conclusioni definitive in ordine alla legittimità del provvedimento interdittivo, da una critica polverizzata e frammentaria dei singoli elementi indiziari concretamente valorizzati dalla Prefettura: ciò perché anche profili indiziari che, isolatamente considerati, non offrono una visione nitida e concreta del pericolo di condizionamento, possono, se coerentemente collocati in una trama unitaria e coordinata, far emergere la contiguità dell’impresa alla criminalità organizzata, ergo la pericolosa vicinanza tra la sua orbita operativa ed i circuiti decisionali della mafia, tale da rendere la prima facilmente preda della tendenza prevaricatrice della seconda. La vicenda amministrativa approdata all’adozione del provvedimento interdittivo può essere conosciuta dal giudice amministrativo, ai fini dell’assunzione delle sue decisioni in ordine alla legittimità del provvedimento medesimo, nei limiti in cui sia ritualmente portata alla sua cognizione: limiti segnati, da un lato, dalle ragioni poste a fondamento del provvedimento prefettizio, dall’altro lato, dalle censure formulate dall’impresa interdetta avverso lo stesso ed in vista del suo annullamento.

La necessaria distinzione tra valutazione amministrativa e penale dei fatti sintomatici dell’agevolazione mafiosa, con la conseguente negazione di ogni effetto automaticamente liberatorio riconducibile alle sentenze di proscioglimento/assoluzione eventualmente intervenute nei confronti dei soggetti coinvolti, impone che l’analisi dei fatti sopravvenuti (all’adozione dell’interdittiva) non potrebbe che essere effettuata dall’Amministrazione e non, recta via, dal giudice amministrativo, cui compete il solo sindacato di legittimità avente ad oggetto le determinazioni dalla stessa espressamente e motivatamente assunte.


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«TENTATIVI DI INFILTRAZIONE» DA PARTE DELLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA ED INTERDITTIVA ANTIMAFIA