A cura di Rossella Ceccarini
CONSIGLIO DI STATO, Sezione III, sentenza n. 10994 del 14.12.2023 depositata il 19.12.2023
La Terza Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 10994 del 14.12.2023 depositata in data 19.12.2023, ha affermato che l’art. 80, comma 5, lettera f), del Codice dei contratti pubblici prevede, quale causa di esclusione, l’ipotesi in cui «l’operatore economico sia stato soggetto alla sanzione interdittiva di cui all’articolo 9, comma 2, lettera c) del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 o ad altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, compresi i provvedimenti interdittivi di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81».
La questione sottoposta al vaglio del Consiglio di Stato riguardava una sentenza emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia che aveva accolto solo in parte il ricorso proposto da (…) s.p.a. – in proprio e nella qualità di capogruppo dell’associazione d’imprese costituita con le mandanti (…) – volto all’annullamento dell’aggiudicazione di una procedura bandita per la stipula di una convenzione per l’affidamento dei servizi tecnico/manutentivi integrati dalle apparecchiature biomedicali per gli enti del servizio sanitario della Regione. Il T.A.R. aveva infatti respinto il motivo di ricorso con cui si lamentava l’illegittimità dell’aggiudicazione per violazione del principio di continuità del possesso, in capo all’aggiudicataria, dei requisiti di ammissione, partecipazione ed esecuzione, essendo stata essa attinta da un provvedimento di divieto a contrarre con la pubblica amministrazione per la durata di un anno, irrogato dal G.I.P. del Tribunale di Palermo ai sensi degli artt. 9 e 14 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Avverso tale sentenza la (…) aveva proposto appello.
Con la sentenza n. 10994 il Consiglio di Stato ha affermato che la disposizione dell’art. 80, comma 5, lettera f), del Codice dei contratti pubblici, in primo luogo, richiama, quale ipotesi di esclusione, la sanzione di cui all’art. 9, comma 2, lettera c), ossia la sanzione del «divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio», senza ulteriormente specificare che tale sanzione debba essere irrogata con la sentenza di condanna (art. 69 d.lgs. n. 231/2001), e non «quale misura cautelare» (art. 45, comma 1, d.lgs. n. 231/2001). Essa, in secondo luogo, esplicita il suo raggio di azione, facendo altresì riferimento, con ampia formula di chiusura, a qualsiasi «altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione». La riferita formulazione della disposizione impugnata impone dunque di ritenere ricadente nel suo ambito di applicazione qualsiasi sanzione che comporti il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, senza distinguere la fase processuale in cui essa è disposta (in sede cautelare o in sede di condanna). Ove, d’altro canto, si escludesse la rilevanza esclusiva della sanzione interdittiva disposta in sede cautelare, la ratio propria di tale misura sarebbe vanificata, perché, pur colpita da misura interdittiva, la società da essa raggiunta potrebbe continuare a partecipare alle (ed aggiudicarsi le) gare. Il Consiglio di Stato ha tuttavia ribadito che il principio, già espresso in precedenza (Sez. III, sentenza 24 giugno 2021, n. 4844), di continuità del possesso dei requisiti generali e speciali deve essere contemperato con gli altri principi che regolano l’azione amministrativa e, in particolare, con quelli di ragionevolezza e proporzionalità. Nel caso di specie, la misura interdittiva cautelare è stata in vigore per soli sei giorni e poi immediatamente sospesa, con la contestuale applicazione di misure correttive prontamente poste in essere dalla società in esecuzione del comando giudiziale. Ebbene, ritenere che tale temporalmente brevissima inibizione alla stipulazione dei contratti con la pubblica amministrazione possa comportare, in virtù della rigorosa applicazione del principio di continuità del possesso dei requisiti generali e speciali, l’esclusione dell’appellata da tutte le procedure di gara in corso durante tale limitatissimo periodo appare irragionevole e contrario al principio di proporzionalità, in assenza di qualsivoglia prova, dall’angolazione quivi esaminata, di una concreta compromissione dell’esigenza dell’amministrazione di instaurare rapporti contrattuali con soggetti affidabili e qualificati. Ne consegue che, in una fattispecie concreta quale quella data, i sopra ricordati principi, declinati congiuntamente e sistemicamente, inducono a ritenere che l’aggiudicataria non sia incorsa nella causa di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lettera f), del Codice dei contratti pubblici.