A cura di Rossella Ceccarini
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione II Civile, sentenza n. 2129 del 09.01.2024 depositata il 22.01.2024
La Seconda Sezione della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 2129 depositata il 22.01.2024 si è pronunciata in tema di sanzioni in caso di violazione della disciplina antiriciclaggio e ha così accolto, con rinvio, il ricorso promosso dal Ministero dell’Economia contro la sentenza di assoluzione di un professionista da parte della Corte d’Appello di Roma.
Il caso trae origine da un’opposizione promossa dinanzi al Tribunale di Alessandria (e poi riproposta davanti al Tribunale di Roma in quanto competente territorialmente) avverso un’ordinanza ingiunzione emessa dal MEF che aveva irrogato ad un commercialista una “multa” di euro 602.900,00, poi ridotta ad euro 300.000,00 dal Tribunale, per violazione delle disposizioni di cui all’art. 3 l. n. 197/1991 ed all’art. 41 d.lgs. n. 231/2007, per aver omesso di segnalare alla UIF (Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia) operazioni sospette poste in essere dalla società (…) s.r.l. quale cliente del professionista depositario della contabilità dell’azienda. Proposto appello, il giudice di secondo grado ha annullato l’ordinanza ingiunzione affermando che non vi erano elementi idonei perché il professionista potesse sospettare il riciclaggio, vista la fatturazione a valle delle operazioni.
Secondo gli Ermellini, la Corte d’Appello ha errato laddove si è discostata dal dato normativo, non si è attenuta all’insegnamento della Suprema Corte e ha omesso di esaminare alcuni fatti storici rilevanti per la decisione, là dove, in adesione alla prospettazione difensiva della persona sanzionata, ha escluso l’esistenza dell’obbligo di segnalazione attribuendo rilievo all’asserita regolare fatturazione della merce venduta e al pagamento (da parte dell’unica compratrice) mediante assegni bancari che venivano accreditati sui conti correnti della (…) s.r.l. In tal modo, infatti, si sono trascurati “alcuni nitidi indici di anomalia”, contenuti nel decalogo di Banca d’Italia e nelle istruzioni dell’UIC. Secondo la Corte, in presenza di evidenti sintomi di abnormità nel modus operandi della società il consulente era obbligato a segnalare le operazioni formalmente anomale all’autorità amministrativa a ciò preposta, per consentirle di verificare se il ricorso frequente e ingiustificato al contante fosse o meno finalizzato ad eludere le disposizioni dirette a prevenire e punire l’attività di riciclaggio e l’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo.
La cornice normativa e giurisprudenziale di riferimento è la seguente: (a) secondo la disciplina del d.l. 3 maggio 1991, n. 143, art. 3, commi 1 e 2 (“Provvedimenti urgenti per […] prevenire l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio”), come conv., con modificazioni, dalla l. n. 197/1991, e del d.lgs. n. 153/1997 (“Integrazione dell’attuazione della dir. n. 91/308/CEE in materia di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita”) e, ancora, del d.lgs. 20 febbraio 2004, n. 56, gli “intermediari” (ossia gli operatori e i professionisti indicati dalle disposizioni in esame) hanno l’obbligo di segnalare alla competente autorità di controllo (Ufficio Italiano Cambi) ogni operazione che, per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza conosciuta a ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell’attività del soggetto cui è riferita, induca a ritenere, in base agli elementi a loro disposizione, che il denaro, i beni o le utilità oggetto delle operazioni medesime possano provenire da taluno dei reati indicati negli artt. 648-bis e 648-ter c.p.; (b) nella prospettiva di “ridurre i margini di incertezza connessi con valutazioni soggettive o con comportamenti discrezionali” e al fine di “evitare forme di arbitraggio normativo dirette a eludere gli obblighi di legge” e di assicurare la “omogeneità di comportamento del personale degli intermediari”, la Banca d’Italia, in applicazione del d.l. n. 143/1991, art. 4, comma 3, lett. c), ha emanato, nel febbraio 1993, le “Istruzioni operative per l’individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio” (c.d. decalogo), aggiornate nel novembre 1994 e rinnovate il 12 gennaio 2001, ai sensi del d.l. n. 143/1991, art. 3-bis, comma 4 (aggiunto dal d.lgs. 26 maggio 1997, n. 153), dirette a superare la genericità della disciplina applicativa della dir. n. 91/208/CEE. Con tali Istruzioni l’Istituto di vigilanza ha introdotto, tra l’altro, una casistica esemplificativa delle anomalie attinenti alla forma oggettiva delle operazioni bancarie. Nella seconda parte del “decalogo” (intitolata “Indici di anomalia”) (punto 1.2.) si stabilisce che sono sospette di riciclaggio “frequenti operazioni per importi di poco inferiori al limite di registrazione, soprattutto se effettuate in contante” e, ancora, il “prelevamento di ingenti somme”; (c) l’Ufficio Italiano Cambi, nel provvedimento del 24 febbraio 2006, in tema di istruzioni applicative “in materia di obblighi di (…) segnalazione delle operazioni sospette per finalità di prevenzione e contrasto del riciclaggio sul piano finanziario a carico di (…) commercialisti, revisori contabili (…)”, afferma (parte IV, art. 4, lett. g) che nell’individuazione delle operazioni sospette deve aversi riguardo (tra gli altri) al seguente criterio generale: “ingiustificato impiego di denaro contante o di mezzi di pagamento non appropriati rispetto alla prassi comune ed in considerazione della natura dell’operazione”; (d) analoga disciplina è dettata dall’art. 41 d.lgs. n. 231/2007, recante la riforma della normativa antiriciclaggio; (e) costituisce principio di diritto consolidato (Cass. civ., Sez. II, 10 aprile 2007, n. 8699; in termini, Cass. civ., Sez. II, 8 agosto 2018, n. 20647), quello secondo cui «[i]n materia di sanzioni amministrative per violazioni della disciplina antiriciclaggio, l’obbligo di segnalazione a carico del responsabile della dipendenza, dell’ufficio o di altro punto operativo di operazioni che a suo avviso, sulla base dei parametri indicati dalla legge, potrebbero provenire da taluno dei reati indicati nell’art. 648-bis c.p., stabilita dall’art. 3, comma 1 e 2, D.L. 3 maggio 1991, n. 143 (convertito in legge n. 197 del 1991) non è subordinata all’evidenziazione dalle indagini preliminari dell’operatore e degli intermediari di un quadro indiziario di riciclaggio, e neppure all’esclusione, in base al loro personale convincimento, dell’estraneità delle operazioni ad una attività delittuosa, ma ad un giudizio obiettivo sulla idoneità di esse, valutati gli elementi oggettivi e soggettivi che la caratterizzano, ad essere strumento di elusione alle disposizioni dirette a prevenire e punire l’attività di riciclaggio».