A cura di Rossella Ceccarini
CONSIGLIO DI STATO, Sezione III, sentenza n. 3265 del 04.04.2024 depositata il 10.04.2024
La Terza Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 3265 depositata il 10 aprile 2024, nel respingere l’appello, ha ribadito, richiamando la granitica giurisprudenza della medesima Sezione, che, quando dietro la singola realtà d’impresa vi è un nucleo familiare particolarmente compatto e coeso, è statisticamente più facile che coloro i quali sono apparentemente al di fuori delle singole realtà aziendali possano curarne (o continuare a curarne) la gestione o, comunque, interferire in quest’ultima facendo leva sui più stretti congiunti.
La questione sottoposta al Consiglio di Stato trae origine da una sentenza del T.A.R. Emilia Romagna – Sezione di Parma che aveva respinto il ricorso proposto da (…) s.r.l. per l’annullamento del diniego di iscrizione nella white list adottata dal Prefetto di Reggio Emilia. La (…) s.r.l. impugnava la sentenza emessa dal T.A.R. deducendone l’erroneità per non aver rilevato la circostanza che il titolare della società era persona del tutto irreprensibile, titolare del porto d’armi che presuppone l’accertamento sull’affidabilità del titolare della licenza.
Il Collegio ha precisato che proprio il nucleo familiare “allargato”, ma unito nel curare gli “affari” di famiglia, è uno degli strumenti di cui più frequentemente si serve la criminalità organizzata di stampo mafioso per la penetrazione legale nell’economia, tanto è vero che l’Adunanza Plenaria (6 aprile 2018, n. 3), riprendendo la giurisprudenza della Sezione, ha ribadito che – quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose – l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto) alla quale non risultino estranei detti soggetti, ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto con il proprio congiunto. Nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza; una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della “famiglia”, sicché in una “famiglia” mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l’influenza del “capofamiglia” e dell’associazione. Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza – su un’area più o meno estesa – del controllo di una “famiglia” e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti.
Venendo al caso oggetto d’esame, il Consiglio di Stato ha rilevato che la permeabilità camorristica nella zona rende irrilevante, nella fattispecie di cui è causa, la circostanza che gli indizi ruotino essenzialmente sul rapporto di parentela – incontestato – con soggetto che, al momento dell’adozione dell’interdittiva, apparisse molto vicino ad ambienti della criminalità organizzata. La convergenza degli indizi su un’unica tipologia (nella specie, i rapporti familiari) non può escludere che gli stessi siano da soli in grado di supportare l’interdittiva, poiché la struttura familiare-clanica si accompagna a plurime evidenze di interessi economici comuni e con una regia non immune da condizionamenti mafiosi. Nella specie, la circostanza che il titolare della ditta individuale fosse vicino (sebbene non convivente) al padre e al fratello, questi ultimi titolari della società (…), è sufficiente a rendere “più probabile che non” il controllo, compiacente o soggiacente, della citata ditta con i sodalizi criminali. La sufficienza degli elementi assunti dalla Prefettura risponde al principio in virtù del quale il pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa. Non smentisce tale conclusione la circostanza che l’interdetto sia titolare di porto d’armi ad uso sportivo, potendo al più tale elemento costituire punto di riflessione della Prefettura a rivedere se sussistano effettivamente i presupposti per rilasciare il relativo titolo, che può essere dato solo a soggetto che dia assoluto affidamento di non abusarne (Cons. Stato, Sez. III, 7 dicembre 2023, n. 10597). È noto, infatti, che il porto d’armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, rappresentando un’eccezione al normale divieto di detenere armi e potendo essere riconosciuto soltanto a fronte della perfetta e completa sicurezza circa il loro buon uso, in modo da scongiurare dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l’ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività (Cons. Stato, Sez. III, 7 dicembre 2023, n. 10592; Cons. Stato, Sez. III, 20 gennaio 2023, n. 726; Cons. Stato, Sez. III, 25 marzo 2019, n. 1972; Cons. Stato, Sez. III, 7 giugno 2018, n. 3435). Parimenti irrilevante è la mancanza di condanne penali a carico del medesimo soggetto, e ciò in quanto gli elementi posti a base dell’informativa, proprio per la ratio ad essa sottesa, possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione (Cons. Stato, Sez. III, 10 maggio 2023, n. 4733; Cons. Stato, Sez. III, 8 maggio 2023, n. 4587; Cons. Stato, Sez. III, 27 novembre 2018, n. 6707).