a cura di Rossella Ceccarini
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I Civile, ordinanza n. 12137 dell’08.11.2024 depositata il 06.05.2024
La Prima Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 12137 dell’8 novembre 2024 depositata il 6 maggio 2024, ha affermato il seguente principio di diritto: “Quando interviene la modifica della proposta di concordato i creditori che, in conformità di precise disposizioni impartite dai Commissari Giudiziali, abbiano espresso voto favorevole prima della modifica, devono ricevere appropriate ed aggiornate informazioni circa l’inefficacia del suffragio manifestato prima della modifica della proposta e circa la necessità di una rinnovazione della manifestazione del consenso alla nuova proposta”.
La Suprema Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere su un ricorso avverso un decreto emesso dalla Corte d’Appello di Perugia che aveva rigettato un reclamo proposto avverso la decisone del Tribunale di Perugia che aveva respinto la domanda di omologa. La questione riguardava la presentazione da parte di (…) s.r.l. di una domanda di ammissione al concordato preventivo con riserva, ai sensi dell’art. 161, comma 6, l. fall, avanti il Tribunale di Perugia cui faceva seguito il deposito del ricorso per ammissione al concordato preventivo corredato dal piano, dalla relazione dell’esperto e dalla documentazione. La proposta prevedeva il soddisfacimento dei creditori (suddivisi in nove classi, di cui le prime tre comprendenti i creditori da soddisfare integralmente) mediante la prosecuzione dell’attività d’impresa in continuità diretta, sulla base di un piano industriale per il periodo programmato di sei anni dopo l’omologa. La procedura, durante le operazioni di voto, registrò vari rinvii anche per il sopravvenire di una sentenza della Sezione Giurisdizionale d’Appello della Corte dei Conti che – in riforma della sentenza di primo grado di condanna della (…) al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate dell’importo di euro 1.112.961,66 oltre accessori e spese – rigettò la domanda di risarcimento del danno erariale avanzata dall’Agenzia, così liberando nuove risorse per la debitrice. Questa, dunque, su invito degli organi della procedura, modificò parzialmente la proposta, riducendo le classi a sei e destinando le risorse aggiuntive sopravvenute al pagamento di quella parte dei crediti fiscali privilegiati che in precedenza erano stati degradati al chirografo. Di fatto, alcuni creditori votarono prima della modifica della proposta, altri dopo. Il Tribunale di Perugia, pur in mancanza di opposizioni, respinse la domanda di omologa, rilevando d’ufficio che la modifica della proposta aveva determinato l’invalidità dei voti favorevoli espressi dai creditori prima del suo deposito. Tale decisione veniva confermata anche dalla Corte d’Appello in sede di reclamo. Con l’ordinanza n. 12137, gli Ermellini hanno ricordato che, quando si parla di “modifica della proposta di concordato”, ci si riferisce tanto al suo contenuto negoziale, e cioè al trattamento economico che il debitore offre ai propri creditori, con indicazione delle eventuali classi in cui ritiene di doverli suddividere e delle rispettive percentuali di soddisfo, quanto al piano concordatario, e cioè alle modalità e alla tempistica con cui il debitore prevede di ottenere le risorse necessarie per poter adempiere a quanto promesso ai creditori. Infatti, come già osservato dalla medesima Corte, “si può affermare che le modifiche integrino una nuova proposta allorquando: i) mutino la natura dell’accordo proposto ai creditori (o meglio, cambino la logica di superamento della situazione di crisi o di insolvenza nella quale versa la società), tanto da rendere necessario un nuovo controllo di ammissibilità da parte del tribunale, una rinnovazione dell’attività di valutazione dell’attestatore, una nuova votazione da parte dei creditori, i quali, alla luce delle modifiche introdotte, non possono più fare affidamento sull’assetto originario, per essere cambiate le caratteristiche fondamentali della proposta; ii) in aggiunta o in alternativa a quanto appena detto (secondo un orientamento interpretativo), mutino elementi della proposta che vadano ad incidere sull’impianto “satisfattorio” del ceto creditorio, quali, inter alia: il numero e la composizione delle classi, la percentuale riconosciuta ai chirografari, la previsione di nuova finanza” (cfr. Cass., n. 22988/2022). Si conferma, quindi, che una modifica con maggiori risorse da destinare ai creditori e con diminuzione delle classi deve essere qualificata come nuova proposta in quanto idonea ad avere ricadute sulla formazione del consenso dei creditori e sulla conseguente espressione del loro voto. Secondo la Cassazione, nella fattispecie in esame, occorreva esplicitare ai creditori che i voti espressi prima della modifica della proposta non potevano essere più ritenuti validi a seguito dell’anzidetto adeguamento prospettato dalla debitrice. Infatti, secondo la Suprema Corte, è vero che i creditori erano stati resi edotti del mutamento della proposta in apposita udienza di discussione, ma non era stato spiegato loro che avrebbero dovuto votare nuovamente sulla proposta integrata. La natura di procedura concorsuale-negoziale del concordato consente, allora, di ritenere applicabili anche alla disciplina delle operazioni di voto, che costituiscono uno dei passaggi endo-procedimentali funzionali alla deliberazione della proposta, le categorie contrattuali della correttezza, buona fede, trasparenza ed affidamento, la cui violazione vale ad alterare la formazione della volontà del ceto creditorio. Alla stregua di tali considerazioni, il Collegio ha ritenuto che, anche in una fattispecie come quella per cui è causa, i creditori che avevano aderito all’originaria proposta avessero il diritto di ricevere appropriate ed aggiornate informazioni da parte degli organi della procedura circa l’inefficacia del voto già espresso e la necessità di una rinnovazione della manifestazione del consenso alla nuova proposta. I giudici di merito hanno, quindi, errato nel giudicare non approvata la proposta per mancato raggiungimento delle maggioranze, per aver qualificato il comportamento inerte serbato dai creditori dopo la modifica del voto come revoca tacita della dichiarazione di assenso, invece di disporre, preso atto dell’invalidità del procedimento deliberativo, la rinnovazione delle operazioni di voto fornendo ai creditori precise informazioni circa l’inefficacia del loro suffragio.