a cura di Rossella Ceccarini
Legambiente ha presentato l’11 luglio 2024 il nuovo Rapporto “Ecomafia 2024. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia”, giunto alla sua trentesima edizione e che dal 1994 accende un faro su un fenomeno troppo spesso sottovalutato. Il contesto italiano relativo ai reati ambientali è in sostanziale peggioramento rispetto all’analisi fatta dall’Associazione ambientalista lo scorso anno.
Secondo il Rapporto di Legambiente (https://noecomafia.legambiente.it/) nel 2023 in Italia è aumentato il numero delle persone denunciate (34.481, +30,6% rispetto al 2022), così come quello degli arresti (319, +43%) e quello dei sequestri (7.152, +19%). Tra gli illeciti, nella penisola continua a salire la pressione del ciclo illegale del cemento (13.008 reati, +6,5%), che si conferma sempre al primo posto tra i reati ambientali; ma a preoccupare è soprattutto l’impennata degli illeciti penali nel ciclo dei rifiuti (9.309, + 66,1%) che salgono al secondo posto. Al terzo posto, con 6.581 reati, si posiziona la filiera degli illeciti contro gli animali (dal bracconaggio alla pesca illegale, dai traffici di specie protette a quelli di animali da affezione fino agli allevamenti); seguono gli incendi dolosi, colposi e generici, con 3.691 illeciti. Crescono anche i numeri dell’aggressione al patrimonio culturale (642 i furti alle opere d’arte, +58,9% rispetto al 2022) e degli illeciti nelle filiere agroalimentari (45.067 illeciti amministrativi, + 9,1%), a cominciare dal caporalato. Sono, inoltre, 378 i clan mafiosi censiti.
La massima concentrazione degli illeciti si riscontra al Sud, in particolare in Campania (4.952 reati, pari al 14% del totale nazionale), Sicilia (che sale di una posizione rispetto al 2022, con 3.922 reati, +35%), Puglia (scesa al terzo posto, con 3.643 illeciti penali, +19,2% rispetto al 2022) e Calabria (2.912 reati, +31,4%). Trattasi di regioni a tradizionale presenza mafiosa. La Toscana sale dal settimo al quinto posto, seguita dal Lazio. Balza dal quindicesimo al settimo posto la Sardegna. Tra le regioni del Nord Italia, la Lombardia si conferma al primo posto.
A livello provinciale primeggia Napoli, con 1.494 reati, seguita da Avellino, che nel 2023 ha registrato un incremento del 72,9% rispetto all’anno precedente (per un totale di 1.203 reati). La provincia del Nord in cui si commettono più reati ambientali è Venezia (662).
Nella pagina del sito di Legambiente dedicata al Rapporto (https://noecomafia.legambiente.it/rifiuti/) viene spiegato che “il ciclo illegale dei rifiuti contempla alcuni tra i reati più pericolosi e redditizi commessi dalla criminalità ambientale”, da cui derivano gravi rischi per gli ecosistemi a causa dell’avvelenamento dell’aria, della contaminazione delle falde acquifere, dell’inquinamento dei fiumi e delle coltivazioni agricole. Le reti ecocriminali attive in questo settore sono molto articolate, “di solito ne fanno parte imprenditori e manager d’azienda, broker, faccendieri, amministratori locali e tecnici senza scrupoli”. Una vera e propria filiera del crimine degli scarti, ribattezzata da Legambiente “Rifiuti s.p.a.”.
Nel Rapporto (https://noecomafia.legambiente.it/animali/) si evidenziano anche i reati commessi contro la fauna: orsi, lupi, aquile reali, volpi, fringuelli e cardellini, cervi, tonni, pesci spada e molti altri, compresi tutti gli animali domestici o esotici detenuti come pet, compongono la lunga la lista di specie animali, presenti in Italia, che sono oggetto di crimini e traffici illeciti. Attività che, di anno in anno, si piazza ai primi posti nella classifica italiana dell’ecomafia.
Per quanto concerne le agromafie (https://noecomafia.legambiente.it/agromafia/) si legge che sono migliaia i produttori che subiscono il controllo delle cosche, attraverso minacce, soprusi ed estorsioni, soprattutto nelle regioni meridionali. Quello rurale, poi, è un mondo in cui vige ancora molto forte l’omertà rispetto a questo tipo di illegalità, come conferma il silenzio sull’abigeato.
L’aggressione al patrimonio culturale, come scavi clandestini e razzie nei siti archeologici, furti e traffico illegale di opere d’arte (https://noecomafia.legambiente.it/archeomafia/), rappresenta il core business delle organizzazioni criminali che operano nel redditizio settore dei beni culturali. L’archeomafia è anche un’occasione unica per riciclare denaro e per utilizzare i beni trafugati come moneta di scambio per partite di droga e armi e come mezzo di ricatto nei confronti dello Stato. Il primo anello della catena dell’archeomafia sono i cosiddetti tombaroli, quelli che saccheggiano i siti, rubando vasi, anfore, statuine, monete e frammenti preziosi, ci sono poi i committenti e i ricettatori che si occupano di piazzare i pezzi sul mercato clandestino, infine i compratori.