a cura di Rossella Ceccarini
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III Civile, ordinanza interlocutoria n. 20991 dell’01.07.2024 pubblicata il 26.07.2024
La Terza Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria n. 20991 pubblicata il 26 luglio 2024, ha affrontato la tematica della sussistenza o meno della responsabilità patrimoniale dello Stato per le obbligazioni assunte nei confronti di terzi dall’amministratore giudiziario, al quale è stata affidata l’azienda sottoposta a misura di prevenzione, nel periodo in cui sia già intervenuta la confisca definitiva dell’azienda stessa. La Suprema Corte ha ritenuto opportuno rinviare la questione alla pronuncia delle Sezioni Unite.
Il procedimento sottoposto al vaglio della Suprema Corte di Cassazione ha origine dal ricorso presentato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dall’Agenzia del Demanio, rappresentati dall’Avvocatura Generale dello Stato, avverso la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Catania. Nel caso esaminato la società (…) s.r.l. era stata sottoposta a sequestro e, successivamente, a confisca definitiva ex l. n. 575/1965 con provvedimento emesso dal Tribunale di Catania, con il quale erano state altresì applicate le misure di prevenzione personali ad alcuni soggetti indiziati di appartenenza a consorteria mafiosa. La misura di prevenzione era stata applicata anche alla società in quanto ritenuta dal Tribunale di Catania riconducibile all’attività illecita svolta dal socio di fatto della s.r.l. Con lo stesso provvedimento era stato nominato un amministratore giudiziario che, dopo il sequestro e prima che intervenisse la confisca, previa autorizzazione del giudice delegato, aveva disposto l’acquisto di una fornitura di cemento dalla società (…) s.p.a. la quale, quando oramai era intervenuta la confisca, aveva ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze nonché dell’Agenzia del Demanio per il pagamento di quella fornitura, pari ad euro 328.123,01. Le due Amministrazioni avevano proposto opposizione che era stata accolta dal Tribunale di Catania, il quale aveva ritenuto che le Amministrazioni fossero tenute al rimborso delle sole spese di amministrazione e custodia e che, tra queste, non rientrassero quelle relative alla fornitura oggetto del giudizio, in quanto attinente all’esercizio dell’attività d’impresa, della quale avrebbe dovuto rispondere soltanto la società con il suo patrimonio. Con il primo motivo di censura il Ministero prospettava la violazione dell’art. 2462 c.c. nonché degli artt. 2-octies e segg. l. n. 575/1965, sostenendo che il sequestro e la successiva confisca non fanno venire meno la società come soggetto autonomo di diritto, con la propria responsabilità patrimoniale perfetta, con la conseguenza che, per le obbligazioni contratte dalla società, sia pure a mezzo dell’amministratore giudiziario, risponde la sola società con il proprio patrimonio. Per tale ragione il Ministero riteneva inapplicabile l’art. 2 l. n. 575/1965 che obbliga lo Stato ad anticipare le spese per la conservazione e l’amministrazione dei beni, in quanto tra tali spese rientrano soltanto il compenso dell’amministratore e le somme necessarie alla custodia del bene intesa in senso stretto con esclusione delle obbligazioni assunte nel corso dell’esercizio dell’attività d’impresa.
La Suprema Corte ha osservato che la tesi del Ministero è supportata anche da un caso analogo (Cass., n. 3971 del 2024) che riguardava proprio un credito vantato della società resistente verso altra società a sua volta assoggettata a confisca antimafia. In tale caso la Corte ha rigettato il ricorso della società creditrice affermando che, quando la società è soggetta a confisca, ciò vuol dire soltanto che il suo controllo passa allo Stato, ma rimane un soggetto distinto con riguardo al suo patrimonio ed alla sua responsabilità patrimoniale, né può dirsi che, acquisendo il controllo della società, lo Stato intervenga nell’attività d’impressa quale socio, come avviene nel caso di partecipazione statale ad una compagine statutaria. La società deve quindi essere amministrata secondo criteri pubblicistici e nell’interesse pubblico, ma senza alcuna responsabilità patrimoniale dello Stato per le obbligazioni dalla stessa assunte nell’esercizio d’impresa.
La Corte ha osservato, altresì, che è pacifico che né il sequestro né la confisca incidono sulla soggettività giuridica della società che rimane soggetto autonomo con patrimonio autonomo e con autonoma legittimazione attiva e passiva quanto alle azioni che la riguardano. La confisca determina soltanto un mutamento nella titolarità della gestione. Tuttavia, pur rimanendo la società un soggetto autonomo, nonostante sequestro e confisca, la legge rende responsabile l’amministrazione giudiziaria delle spese sostenute e di alcuni debiti contratti dalla società stessa durante la misura di controllo e di prevenzione cui è sottoposta. Si ritiene, dunque, che l’intervento dello Stato si attui attraverso l’operato dell’amministratore giudiziario – il quale viene contestualmente nominato con il provvedimento che dispone la misura – che opera sotto la vigilanza e previa autorizzazione del giudice delegato. D’altronde la l. n. 575/1965, applicabile ratione temporis, all’art. 2-octies, comma 1, dispone che le spese necessarie o utili per la conservazione e l’amministrazione dei beni sono sostenute dall’amministratore mediante prelevamento delle somme da lui riscosse a qualsiasi titolo. Soltanto se dalla gestione dei beni sequestrati non è ricavabile denaro sufficiente per il pagamento delle spese di cui al comma 1 le stesse sono anticipate dallo Stato, con il diritto al recupero nei confronti del titolare del bene in caso di revoca del sequestro. Si pone, quindi, la questione se la norma preveda l’anticipazione delle sole spese di conservazione e custodia dei beni ovvero se lo Stato debba anticipare anche le somme necessarie alla gestione dell’attività d’impresa.
Secondo la Suprema Corte rilevante è, altresì, la finalità per la quale lo Stato amministra il bene confiscato ovvero non soltanto per custodirlo, né tantomeno per prevenire la commissione di reati che la disponibilità di quel bene potrebbe favorire, se la sua gestione fosse lasciata ancora in capo al proposto, bensì per impedirne la dissoluzione con conseguente improvvisa cessazione della sua attività originaria in danno a creditori e lavoratori. Importante è l’intervento normativo apportato al codice antimafia dalla l. n. 161/2017 agli artt. da 41 a 41-quater, con la previsione di forme di finanziamento agevolato per favorire la conservazione dei livelli occupazionali. Tale intervento normativo, sebbene successivo alle norme di cui si discute, trova fondamento proprio nelle difficoltà affrontate dalle società sottoposte a sequestro in seguito alla disposizione della misura, poiché troppo spesso gli istituti di credito provvedevano a revocare immediatamente gli affidamenti precedentemente concessi e le società non potevano più contare sul finanziamento della propria attività economica costituito dall’afflusso di capitali illeciti che la gestione criminale poteva apportare. Ha osservato la Corte che un’interpretazione che limitasse l’impegno finanziario dello Stato alla mera custodia e amministrazione dei beni senza alcuna attenzione verso l’attività di impresa contrasterebbe con la finalità dello stesso sequestro di prevenzione che invece mira a salvaguardare l’attività economica dell’impresa nell’interesse dei creditori e delle risorse umane in essa impiegate.
La Corte ha, tuttavia, considerato anche il fatto che lo Stato, nel sostituirsi come soggetto amministratore diverso, non persegue la stessa finalità e lo stesso scopo perseguito precedentemente dalla società e dal precedente amministratore proprio per la sua finalità pubblica e, pertanto, trattandosi di un’amministrazione condotta nell’interesse pubblico, che incide sulla condizione patrimoniale della società, non è assimilabile ipso facto a quella prevista dal codice civile, ma ad una gestione della società affatto diversa, attribuita allo Stato per scopi pubblici. Di conseguenza, la vicenda non comporta soltanto una semplice sostituzione di amministratore, mantenendo inalterate le regole sulla responsabilità patrimoniale della società, ma suppone una gestione pubblicistica che vede lo Stato quale soggetto coinvolto nella responsabilità patrimoniale della stessa.
Per le considerazioni sopra riportate, la Corte ha ritenuto opportuno rinviare la questione di particolare importanza alla pronuncia delle Sezioni Unite.