a cura di Rossella Ceccarini
CONSIGLIO DI STATO, Sezione III, sentenza n. 7230 del 27.06.2024 pubblicata il 26.08.2024
La Terza Sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata in materia di interdittiva antimafia in occasione dell’istanza di riforma della sentenza del T.A.R. per la Puglia – Sede di Bari, Sezione Seconda, che aveva respinto il ricorso per l’annullamento dell’interdittiva antimafia adottata dal Prefetto di Barletta – Andria – Trani a carico della società (…).
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7230 pubblicata il 26 agosto 2024, ha respinto il ricorso e ha affermato che gli elementi di fatto valorizzati dal provvedimento prefettizio devono essere valutati non atomisticamente, ma in chiave unitaria, secondo il canone inferenziale – che è alla base della teoria della prova indiziaria – quae singula non prosunt, collecta iuvant, al fine di valutare l’esistenza o meno di un pericolo di permeabilità dell’impresa appellante a possibili tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata, secondo la valutazione di tipo induttivo che la norma attributiva rimette al potere cautelare dell’Amministrazione, il cui esercizio va scrutinato alla stregua della pacifica giurisprudenza amministrativa (ex multis, Cons. Stato, Sez. III, sentenze n. 759/2019, n. 4837/2020 e n. 4951/2020).
Secondo Palazzo Spada, la sentenza n. 57/2020 della Corte costituzionale ha chiarito che, a fronte della denuncia di un deficit di tassatività della fattispecie, specie nel caso di prognosi fondata su elementi non tipizzati ma “a condotta libera”, “lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa”, un ausilio è stato fornito dall’opera di tipizzazione giurisprudenziale che, a partire dalla sentenza del Consiglio di Stato 3 maggio 2016, n. 1743, ha individuato un “nucleo consolidato (…) di situazioni indiziarie, che sviluppano e completano le indicazioni legislative, costruendo un sistema di tassatività sostanziale”. Fra tali situazioni sintomatiche quelle maggiormente rilevanti sono proprio le cointeressenze imprenditoriali. È stato altresì osservato dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Sez. III, sentenza n. 383/2021) che “il presupposto per l’esercizio del potere prefettizio de quo non implica necessariamente l’intenzionale adesione dell’imprenditore al tentativo di infiltrazione, potendo questa manifestarsi anche oltre l’intenzione del titolare dell’attività. In altre parole, l’esclusione della c.d. contiguità compiacente non vale di per sé ad escludere il pericolo di una contiguità soggiacente” (così, da ultimo, anche la sentenza n. 193/2024). È stata poi rimarcata la differenza fra lo standard probatorio necessario all’accertamento della responsabilità penale e quello sufficiente a supportare la formulazione di un pericolo infiltrativo in materia di prevenzione amministrativa (sulla diversa prospettiva di valutazione degli atti di indagine nel processo penale e nell’esercizio del potere di prevenzione amministrativa antimafia, si rinvia alla sentenza n. 8269/2023). Ancora, il Consiglio di Stato ha ricordato che, come già affermato, tra le altre, dalla sentenza n. 11600/2022, “la giurisprudenza amministrativa (ex multis, sentenza n. 2 del 2020) ha chiarito che i fatti sui quali si fonda l’interdittiva antimafia possono anche essere risalenti nel tempo nel caso in cui vadano a comporre un quadro indiziario dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata”. È stata, infine, richiamata la giurisprudenza circa la legittimità dell’interdittiva antimafia basata su una sola figura (Cons. Stato, Sez. III, 3 agosto 2021, n. 5723), circa la legittimità dell’interdittiva antimafia laddove il pericolo di condizionamento venga ricondotto alla presenza anche di un solo dipendente “infiltrato” (Cons. Stato, Sez. III, 14 settembre 2018, n. 5410), circa l’idoneità anche di soli rapporti di parentela a legittimare la formulazione di un pericolo di infiltrazione (Cons. Stato, Sez. III, 24 aprile 2020, n. 2651).