a cura di Rossella Ceccarini

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione V Penale, sentenza n. 36582 del 26.06.2024 depositata il 02.10.2024

La Quinta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36582 del 26 giugno 2024 pubblicata il 2 ottobre 2024, è intervenuta in tema di reati fallimentari ed amministratore di fatto affermando che, in relazione alla bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 l. fall. vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta.

La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte riguarda una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Torino che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Torino, aveva condannato (…) in relazione ai fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e bancarotta impropria da operazioni dolose in concorso, di cui al capo 2) dell’imputazione, ed ai reati tributari ex artt. 110 c.p. e 8 d.lgs. n. 74/2000, di cui ai capi 4 e 5) dell’imputazione, ascrittigli in qualità di amministratore di fatto della società (…) s.r.l. dichiarata fallita. L’imputato aveva proposto ricorso per Cassazione lamentando violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’attribuzione della qualità di amministratore di fatto della società fallita. La Suprema Corte, con la sentenza n. 36582, ha ricordato che il soggetto che, ai sensi della disciplina dettata dall’art. 2639 c.c., assume la qualifica di amministratore “di fatto” della società fallita è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili (come i fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale), tra i quali vanno ricomprese le condotte dell’amministratore “di diritto” (cfr., ex plurimis, Cass. pen., Sez. V, 20 maggio 2011, n. 39593, Rv 250844), senza tacere che la previsione di cui all’art. 2639 c.c. non esclude che l’esercizio dei poteri o delle funzioni dell’amministratore di fatto possa verificarsi in concomitanza con l’esplicazione dell’attività di altri soggetti di diritto, i quali – in tempi successivi o anche contemporaneamente – esercitino in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. Consolidato appare, all’interno della giurisprudenza di legittimità, anche l’orientamento secondo cui la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 c.c., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione, anche se “significatività” e “continuità” non comportano necessariamente l’esercizio di “tutti” i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale. La posizione dell’amministratore di fatto, destinatario delle norme incriminatrici della bancarotta fraudolenta, dunque, va determinata con riferimento alle disposizioni civilistiche che, regolando l’attribuzione della qualifica di imprenditore e di amministratore di diritto, costituiscono la parte precettiva di norme che sono sanzionate dalla legge penale. La disciplina sostanziale si traduce, in via processuale, nell’accertamento di elementi sintomatici di gestione o cogestione della società, risultanti dall’organico inserimento del soggetto, quale “intraneus” che svolge funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento dell’“iter” di organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi – rapporti di lavoro con i dipendenti, rapporti materiali e negoziali con i finanziatori, fornitori e clienti – in qualsiasi branca aziendale, produttiva, amministrativa, contrattuale, disciplinare. Peraltro, l’accertamento degli elementi sintomatici di tale gestione o cogestione societaria costituisce oggetto di apprezzamento di fatto che è insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto da motivazione congrua e logica. Sotto altro versante si è osservato che, in tema di reati fallimentari, nel caso di una società deprivata di una reale autonomia da operazioni di trasformazione societaria e di cessione del principale ramo di azienda senza corresponsione del prezzo, per avviare la stessa al fallimento, la prova della posizione di amministratore di fatto non può desumersi da elementi sintomatici di un inserimento organico all’interno dell’ente solo formalmente operante, ma può evincersi dal compimento anche di una singola operazione distrattiva, quando questa sia ideata per attuare il predetto disegno fraudolento di dismissione della fallita. Nello stesso senso si è del pari osservato che, in tema di reati fallimentari, la prova della posizione di amministratore di fatto di una società operante al di fuori dell’oggetto sociale, utilizzata, dall’insorgere del dissesto e fino alla dichiarazione di fallimento, come “schermo” per compiere condotte truffaldine finalizzate al reperimento di risorse poi distratte, si traduce in quella del ruolo di ideatore e organizzatore dell’indicato sistema fraudolento, atteso che non è ipotizzabile l’accertamento di elementi sintomatici di un inserimento organico all’interno di un ente solo formalmente operante.


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REATI FALLIMENTARI E RESPONSABILITA’ DELL’AMMINISTRATORE DI FATTO

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