a cura di Rossella Ceccarini

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione II Civile, ordinanza n. 25260 del 05.03.2024 depositata il 20.09.2024

La Seconda Sezione della Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25260 depositata il 20 settembre 2024, ha enunciato il seguente principio di diritto: “qualora i comportamenti degli amministratori che si assumono illeciti non siano vietati dalla legge o dallo statuto, la condotta dell’amministratore è illegittima se omette di adottare tutte le misure necessarie alla cura degli interessi sociali a lui affidati; in tal caso l’attore ha l’onere di provare tutti gli elementi di fatto dai quali è possibile dedurre la violazione dell’obbligo di lealtà e di diligenza”.

La questione trae origine da un ricorso per cassazione avverso una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano che confermava la decisione di primo grado emessa dal Tribunale di Milano la quale aveva rigettato un’opposizione avverso un decreto ingiuntivo in favore di un ingegnere che aveva agito in giudizio per ottenere il pagamento del corrispettivo spettantegli per l’attività di progettazione e di direzione dei lavori svolta in favore di una società che operava nel settore immobiliare. Tra le motivazioni a fondamento dell’opposizione, era stata addotta la responsabilità dell’ingegnere, che aveva in precedenza rivestito la carica di amministratore della medesima società, per avere, in tale qualità, fatto un uso personale degli immobili dei quali la stessa era proprietaria, anziché metterli a reddito concedendoli in locazione, impedendo così alla società di percepire i relativi canoni e provocandole un danno, opposto in compensazione con il credito azionato in via monitoria.

Secondo la Suprema Corte, l’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori e sindaci di società di capitali ha natura contrattuale e ciò comporta che la società ha l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi (Cass. civ., Sez. I, 7 febbraio 2020, n. 2975; Cass. civ., 11 novembre 2010, n. 22911; Cass. civ., 31 agosto 2016, n. 17441). Gli Ermellini hanno affermato, sul tema dell’onere probatorio, che, ove i comportamenti dell’amministratore che si assumono illeciti non siano in sé vietati dalla legge o dallo statuto e l’obbligo di astenersi dal porli in essere discenda dal dovere di lealtà, coincidente con il precetto di non agire in conflitto di interessi con la società amministrata, o dal dovere di diligenza, consistente nell’adottare tutte le misure necessarie alla cura degli interessi sociali a lui affidati, l’illecito è integrato dal compimento dell’atto in violazione di uno dei menzionati doveri. In tal caso, l’onere della prova da parte della società non si esaurisce nella dimostrazione dell’atto compiuto dall’amministratore, ma investe una serie di elementi dai quali è possibile dedurre che lo stesso implica violazione del dovere di lealtà o di diligenza. Il contenuto di siffatti obblighi di carattere generale può specificarsi solo con riferimento alle circostanze del caso concreto; pertanto, in relazione alla mancata osservanza, da parte dell’amministratore, dell’obbligo di diligenza, chi agisce in giudizio deve dare dimostrazione di una serie di indici dai quali è possibile inferire la violazione del predetto dovere, che è definito dall’art. 2932 c.c. (Cass. civ., Sez. I, 9 novembre 2020, n. 25056; Cass. civ., Sez. I, 7 febbraio 2020, n. 2975). Recentemente, la Suprema Corte ha precisato che, in tema di responsabilità dell’amministratore per i danni cagionati alla società amministrata, il principio dell’insindacabilità del merito delle scelte di gestione (c.d. business judgement rule) non si applica in presenza di irragionevolezza, imprudenza o arbitrarietà palese dell’iniziativa economica (Cass. civ., Sez. I, 25 marzo 2024, n. 8069).

La Corte, con l’ordinanza n. 25260 in commento, ha affermato che all’amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può eventualmente rilevare come giusta causa di sua revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società: ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica, ma solo la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere e, quindi, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste nell’adempimento dei suoi doveri sociali previsti dall’art. 2392 c.c. (Cass. civ., 12 febbraio 2013, n. 3409; Cass. civ., 2 febbraio 2015, n. 1783; Cass. civ., 22 giugno 2017, n. 15470).


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VIOLAZIONE DEI DOVERI DI LEALTA’ E DILIGENZA DELL’AMMINISTRATORE: ONERE DELLA PROVA PER L’AZIONE DI RESPONSABILITA’

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